lunedì 21 novembre 2022
Muti tutti gli undici, in evidente protesta contro il regime e in segno di solidarietà con le manifestazioni di piazza anti-velo in atto da due mesi
La squadra nazionale, in rosso, in silenzio mentre risuonano le note dell'inno della Repubblica islamica dell'Iran

La squadra nazionale, in rosso, in silenzio mentre risuonano le note dell'inno della Repubblica islamica dell'Iran - Ansa

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Tutti muti gli undici giocatori della nazionale di calcio iraniana, prima del fischio d'inizio della partita Inghilterra-Iran ai Mondiali in Qatar, mentre risuona l'inno della Repubblica islamica. Dalla tribuna in cui sono assiepati, i tifosi arrivati da Teheran (con evidente placet del regime) li fischiano e li insultano con gesti anche volgari. Dopo le squadre nazionali di pallanuoto e di beach soccer, anche la nazionale di calcio esprime con il silenzio il suo sostegno alla rivolta che da più di due mesi scuote il Paese: da quando la giovane Mahsa Amini è morta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non indossava correttamente il velo islamico.

La protesta era annunciata: il difensore e capitano Ehsan Hajsafi in conferenza stampa aveva esordito con l'espressione "nel nome del dio dell'arcobaleno", la stessa usata in un video dal piccolo Kian Pirfalak, una delle vittime simbolo della repressione costata finora almeno 378 morti e 15mila arresti (dati dell'ong Iran Human Rights, con sede in Norvegia). Il calciatore 32enne, che milita nell'Aek Atene, aveva inviato le sue condoglianze alle famiglie di chi ha perso la vita nelle proteste e ammesso che "la situazione nel Paese non è buona". "La nostra gente non è contenta", aveva detto, auspicando che "la situazione cambi". "Noi siamo qui, ma questo non vuol dire che non dobbiamo essere la loro voce. Io spero che le condizioni cambino secondo le aspettative del popolo".

Con la rivolta si era già schierato anche la star Sardar Azmoun, attaccante del Bayer Leverkusen, che in un post su Instagram si era spinto fino ad affermare che essere cacciato dalla nazionale "sarebbe un piccolo prezzo da pagare rispetto anche a un solo capello delle donne iraniane".

Ansa

E se il commissario tecnico, il portoghese Carlos Queiroz, aveva assicurato che "i giocatori sono liberi di protestare come farebbero se provenissero da qualsiasi altro Paese purché in modo conforme ai regolamenti della Coppa del Mondo e nello spirito del gioco", il ministro della Giustizia, Gholam-Hossein Mohseni-Ejei, ha minacciato di punire "quanti sono diventati famosi grazie al sostegno del sistema e si sono uniti al nemico in tempi difficili invece di schierarsi con il popolo".

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