sabato 22 ottobre 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Sono state cinque cassette di mele e pere, e qualche chilo di banane che hanno fatto da detonatore alla rivoluzione tunisina, il 14 dicembre 2010. E un disoccupato, diplomato, ma che, per vivere, faceva l’ambulante abusivo, Mohamed Bouazizi. Si darà fuoco dopo l’ennesimo sopruso della polizia, non appena gli viene sequestrata la mercanzia e propinata la multa. Una delle tante, che l’uomo non sa più come pagare. E dunque, al futuro incerto e tiranno, decide di finire i propri giorni con una tanica di benzina. Ma adesso, molti mesi dopo la rivolta che ha smantellato il sistema del dittatore Ben Ali, adesso che il silenzio della paura è stato spezzato, occorre sempre fare i conti con la fame di tutti i giorni. E si è visto anche da noi in Italia, nelle settimane passate, come la crisi tunisina si è riversata sulle coste di Lampedusa, col suo carico di povertà in cerca di futuro. E sono stati tanti i Mohamed Bouazizi che sono annegati nella traversata del Canale di Sicilia. Il rilancio dell’economia tunisina, una preoccupazione più sociale che economica, è una priorità per tutto il bacino del Mediterraneo e per l’Europa. È un Paese dove 700 aziende italiane occupano 60mila addetti, che non è fortemente indebitato con l’estero e che, con la rivoluzione, non ha avuto particolari ricadute sull’import e sull’export. Ma certamente ha subito un crollo verticale del turismo: il 7 per cento del Pil nazionale. Un turismo stagionale, sei mesi l’anno, che occupa manodopera giovane. Il fenomeno della disoccupazione, che l’ufficialità dice al 23 per cento su base nazionale, ma che nella realtà è del 30 per cento, non è una scoperta dell’acqua calda, ma è un indice di preoccupazione sul piano della sicurezza e in seconda battuta su quello politico, oggi che la Tunisia va al suo primo voto democratico. E anche il primo in tutta la storia del mondo arabo mediterraneo. Il tasso di crescita per questo 2011 è percepito attorno allo 0,4 per cento, ma occorre fare presente che affinché si cominci a riassorbire il problema della disoccupazione, in questi angoli della Terra, occorre che il tasso di crescita sia almeno del 6 per cento. Un "peso" che si è venuto ad aggiungere è stata la crisi della Libia. Settantamila, ma forse anche centomila lavoratori tunisini sono rientrati dalla Libia e si sono aggiunti ai vecchi disoccupati, come lo era Mohamed Bouazizi, per vivere di espedienti. E uno dei tanti, in questa stagione, si trova agli angoli delle strade, e sono i banchetti improvvisati e abusivi dei venditori di fichi d’india sbucciati. L’effetto Libia ha creato altri e ben più gravi scompensi: un’incredibile aumento del costo della vita. In Tunisia solo il salario dei poliziotti è stato aumentato: da 350 a 550 dinari. All’incirca 250 euro per mensilità. Ma nonostante ciò anche per la famiglia di un agente di sicurezza è diventato difficile trovare il latte. Che viene assorbito dalle esigenze della Libia inchiodata dalla guerra. Così come l’acqua minerale. Cioè tutti i generi di prima necessità. Un paio di esempi: un chilo di pomodori dieci mesi fa costava un terzo di dinaro, ora ce ne vogliono due. Quasi un euro. E le uova sono aumentate del 50 per cento. Il pane resiste, ma il peso della farina in una baguette è diminuito. Se viveri, medicine e quanto serve di prima necessità prendono la strada per Tripoli, c’è anche un fenomeno contrario: quello delle migliaia di libici benestanti che per sfuggire alla loro guerra, si sono trasferiti in Tunisia. Gli affitti delle case hanno subito una forte impennata. E saranno guai seri quest’anno per gli studenti tunisini che dovranno cercare un affitto a Tunisi per garantirsi gli studi.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: