domenica 8 maggio 2016
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Con il ritorno alle urne di domani, 54 milioni di elettori filippini su 100 milioni di abitanti ridefiniranno l’intero aspetto politico e amministrativo del loro arcipelago. In palio saranno presidenza e vicepresidenza, metà dei 24 senatori e tutti i 292 deputati nel Parlamento di Manila, altri circa 18mila rappresentanti nelle amministrazioni locali, dai governatori di provincia ai consigli di villaggio. Sul piano politico, ci si aspetta poche sorprese. Nella Camera uscente, 252 deputati esprimono la maggioranza raccolta attorno al Partito liberale (111 rappresentanti); 19 sono dell’opposizione e gli altri indipendenti. Tra i 24 esponenti del Senato che si avvia al rinnovo parziale, 18 membri sono della maggioranza e 6 dell’opposizione. In quest’ultimo, l’attesa è per la star del pugilato Manny Pacquiao, campione mondiale in sette categorie di peso che, se eletto, potrebbe passare totalmente all’attività politica con mire presidenziali nel 2022. Un esercizio democratico con caratteristiche fortemente ambivalenti, tra clientelismo, compravendita dei voti, intimidazioni, slanci ideali e una funzione moderatrice della Chiesa. Con una buona dose di smemoratezza, anche. Quella che consente all’86enne Imelda, vedova del dittatore Ferdinand Marcos cacciato da una rivoluzione pacifica nel 1986, di essere in lizza per il suo terzo e ultimo mandato da deputato per un distretto di Ilocos Norte; la figlia 60enne Imee è candidata al governatorato della stessa provincia; il nipote 26enne Matthew, aspira a un posto di consigliere provinciale, guarda caso sempre a Ilocos Norte. Più in vista, il figlio 58enne Ferdinand “Bombong” Marcos Jr, senatore, corre per la vicepresidenza. In coppia con l’outsider di questa competizione e da giorni favorito alla carica di capo dello Stato, il “duro” Rodrigo Duterte. Mentre i sondaggi danno a Duterte (qualcuno l’ha già ribattezzato «il Trump delle Filippine») un “capitale” del 33% dei voti, i rivali e già senatori Grace Poe e Mar Roxas ( esponente del Partito liberale del presidente uscente Benigno Aquino Jr) sono attestati attorno al 2022% delle preferenze. In lieve vantaggio, Roxas ha cercato un’alleanza in extremis con Poe. Ad affondare la “corazzata Duterte” non sono bastate le accuse di infedeltà coniugale, il passato e le prospettive di brutalità per combattere la criminalità, le dichiarazioni-choc riguardo la missionaria laica australiana stuprata e uccisa durante una rivolta carceraria nel 1989, le ingiurie verso papa Francesco, le accuse di avere occultato fondi e, ultime, quelle di un rischio di golpe da lui guidato e di un accordo di cogestione del potere con la leadership della guerriglia comunista. Finora tutto inutile e se una vittoria di Duterte sembra probabile, più difficile è scommettere sulla stabilità del Paese dopo il voto. Intanto con l’assassinio ieri di un candidato a sindaco nell’estremo meridione, sono saliti a almeno 15 i morti per violenze pre-elettorali. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il favorito Rodrigo Duterte (Epa)
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