giovedì 1 marzo 2012
Dopo gli allarmi lanciati dalla Fao e da molte istituzioni internazionali, la Banca Mondiale ipotizza che gli obiettivi del Millennio possano essere raggiunti in anticipo. Africa ancora in ginocchio, bene Brasile e India, Cina a due facce «Ma la vulnerabilità dei sistemi di protezione resta molto alta».
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​La Banca mondiale è «cautamente ottimista» sul fronte della povertà globale. Stando all’istituto di Washington, il numero dei poveri è diminuito considerevolmente a partire dal 2005, e almeno fino al 2010 la crisi non ha arrestato la tendenza positiva. Ma con un dato di partenza vertiginosamente basso come i due miliardi di persone che sopravvivevano con meno di un dollaro e 25 al giorno nel 1981, le conquiste recenti appaiono inevitabilmente relative. Inoltre, a partire dallo scorso anno, un periodo ancora non esplorato dalle dettagliate indagini della Banca, istituzioni come la Fao e l’Onu hanno lanciato ripetuti allarmi per un possibile peggioramento delle condizioni di vita dei più deboli.Ci sono comunque motivi di speranza. Il maggiore è il raggiungimento del primo obiettivo del Millennio, il dimezzamento della povertà estrema entro il 2015, con cinque anni di anticipo. Nel 2010, infatti, stando alle stime della Banca, meno di un miliardo e trecento milioni di persone si trovavano in miseria – quella soglia del dollaro e un quarto al giorno usato come metro dell’indigenza estrema – meno della metà rispetto al 1990. Due aree del mondo, l’Asia orientale e il Pacifico (che include la Cina), fino a vent’anni fa le regioni con il più alto livello di povertà disperata, hanno tagliato il traguardo addirittura dieci anni prima dell’auspicato. Inoltre, dal 2005 per la prima volta non ci sono più regioni dove la povertà è in crescita, al contrario di quanto è accaduto in tutto il mondo sottosviluppato negli anni Ottanta e Novanta e in alcune zone, come l’America latina, fino a solo una manciata di anni fa.La maggior parte delle persone che si sono sollevate dalla miseria restano però povere. Avendo oltrepassato il livello del dollaro e 25, si sono ammassate sotto il gradino successivo nella misurazione della Banca mondiale. Oggi infatti il 43% della popolazione dei Paesi in via di sviluppo vive con meno di due dollari al giorno. Una posizione che rende questa fascia estremamente vulnerabile, alla mercé delle condizioni economiche del proprio Paese e, soprattutto, della capacità del proprio governo di attuare politiche di protezione sociale, distribuzione del reddito, accesso equo al credito e liberalizzazione del mercato del lavoro.Sono queste misure, dimostrano le indagini compiute dalla Banca mondiale in 130 Paesi, ad aver liberato buona parte della popolazione globale dall’indigenza, in ugual o maggiore misura della crescita economica. «Questo spiega perché è più difficile per l’Africa raggiungere lo stesso progresso nella lotta alla povertàdi nazioni come la Cina, l’India o il Brasile – spiega Martin Ravallion, direttore del gruppo di ricerca della Banca mondiale –. La Cina a partire dagli anni Ottanta ha avuto condizioni ideali di bassa ineguaglianza economica, alto livello relativo di istruzione e facile accesso alle cure sanitarie e al mercato del lavoro. Queste condizioni di sono andate via via erodendo, ma hanno permesso ai cinesi più poveri di godere di un’ampia fetta della crescita economica. In Brasile e in India le fasce più basse della popolazione hanno usufruito di recente di riforme che hanno aperto il credito, l’istruzione e i mercati. In Africa invece l’ineguaglianza sociale, di reddito e di opportunità resta fra le più alte del mondo». Nell’Africa subsahariana infatti il 47% della popolazione vive ancora con meno di un dollaro e 25 al giorno. Una cifra «inaccettabile», ha detto Jaime Saavedra, direttore del programma di riduzione della povertà della Banca mondiale, ma che rappresenta comunque un passo avanti. Per la prima volta dal 1981 infatti meno di metà della popolazione africana vive in miseria, e il numero continua a calare a ritmo di circa 3 milioni all’anno.L’impatto positivo delle politiche sociali sulla povertà spiega in parte perché siano stati i più poveri, e non chi già viveva sopra i due o tre dollari al giorno, a vedere i progressi maggiori. «La tradizionale teoria che i più miseri sono tagliati fuori dalla vita economica e sociale si è rivelata falsa», continua Ravallion. Progressi notevoli si sono visti anche nei Paesi ex comunisti dell’Europa dell’Est e dell’Asia centrale. Qui, secondo gli esperti della Banca mondiale, si è finalmente conclusa la transizione da un’economia statalista a un economia di mercato, che aveva fatto sprofondare milioni di persone nell’indigenza. La tendenza al miglioramento è quindi ripresa a passo sostenuto e oggi solo lo 0,5 per cento della popolazione vive con meno di un dollaro e 25 al giorno, e il 2,2 per cento con meno di due.
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