martedì 9 luglio 2013
Sieropositivi oltre il 20%. «Ospedali da incubo». A Mangochi l’Hiv «viaggia» con il mercato del pesce I farmaci antiretrovirali sono gratuiti ma non si trovano. Strutture sanitarie in condizioni pessime: decine ogni anno le donne morte di parto. (Paolo Alfieri)
COMMENTA E CONDIVIDI
Alle cinque della sera, sulle rive del lago Malawi, una moltitudine di donne aspetta l’arrivo imminente delle barche dei pescatori. Non si tratta delle loro mogli: per la maggior parte vengono da fuori e sono commercianti di pesce, che, una volta acquistato, rivenderanno fresco o essiccato nei mercati delle principali città del Paese. Ma è qui, tra le spiagge di Makawa e Namiyasi, alla periferia di Mangochi, che bisogna venire per essere testimoni di una storia che racchiude in un circolo vizioso tre elementi fondamentali: cambiamento climatico, povertà, Hiv.È questa, infatti, una delle zone del Paese con il maggior tasso di sieropositività. Se nel 2008 i dati ufficiali parlavano di un’incidenza del 14% a livello nazionale, nell’area di Mangochi il tasso era al 21%. I dati nazionali ora sono in calo – la stima è di un 10,5% di sieropositivi – ma, soprattutto tra i pescatori, non c’è stato alcun miglioramento, anzi. Secondo Frank Mfune, responsabile dell’Ong Yoneco che conduce campagne di sensibilizzazione sul tema, «ben 37 pescatori sui 120 sottoposti di recente al test dell’Hiv sono risultati sieropositivi, quasi il 30%».Le cause di questa incidenza così alta vanno ricercate proprio sulle rive del lago. Molte delle donne che commerciano il pesce, infatti, in mancanza di denaro – la svalutazione del kwacha ha provocato una crisi economica devastante nel Paese – offrono sesso ai pescatori, che spesso accettano lo scambio. Ed essendo il mercato del pesce per sua natura mobile – i pescatori cambiano spesso zona, le commercianti si spostano tra i vari mercati – l’Hiv viene poi diffuso da Mangochi ad altre aree del Paese. La questione non riguarda peraltro solo le commercianti: sono moltissime le donne che abitano in riva al lago costrette ad offrire sesso ai pescatori solo per poter sfamare se stesse e i loro figli.L’altro elemento a entrare in gioco è il cambiamento climatico. Mengeni Chingombe fa il pescatore da oltre 30 anni, aiutato ora anche dal figlio Ajison. «Piove sempre meno – osserva – Non solo questo fa diminuire il livello del lago, ma provoca anche una minore presenza di pesce perché si è alzata la temperatura dell’acqua». Oltre alla quantità è diminuita anche la qualità del pesce. Il chambo, vera gloria nazionale, è in forte calo, tanto che, spiega Ajison, «spesso riusciamo a catturare solo pesci molto piccoli, che valgono meno». Sono una trentina i giovani che lavorano insieme a Mengeni su barche che non riescono a spostarsi a oltre un chilometro dalla riva: in una settimana si spartiscono appena 80mila kwacha di guadagni, circa 160 euro. In pochi riescono a risparmiare qualcosa per investire, altri, come ammette anche McLoud Thole, capo dei pescatori di Makawa, offrono parte della loro quota di pescato in cambio di sesso.«Abbiamo mandato una trentina di educatori tra i pescatori di tre distretti – spiega Mfune di Yoneco – perché è importante sensibilizzarli sul tema dell’Hiv. Li invitiamo a sottoporsi al test, ma anche le autorità dovrebbero fare di più».Già, le autorità. Sui giornali il dibattito sul diritto alla salute si fa sentire. Il quotidiano The Nation, ad esempio, ha sottolineato come «sei compagnie su sette tra quelle incaricate della distribuzione dei farmaci gratuiti sono in grave ritardo nelle loro consegne». Per verificarlo ci rechiamo all’ospedale di Mangochi. Vorremmo entrare per parlare con i pazienti, ma veniamo bloccati da Arnold Mndalira, giovane addetto stampa del ministero della Salute. Gentile, ma fermo, ci porge una nuova circolare interna che vieta l’accesso dei giornalisti negli ospedali del Paese senza un’autorizzazione ministeriale, decisione apparentemente presa dopo che alcune inchieste hanno svelato le pessime condizioni delle strutture sanitarie. «In questo ospedale ogni giorno nascono in media 40 bambini – spiega lo stesso Mndalira – nel reparto maternità abbiamo 60 letti, ma le pazienti possono arrivare anche a 200. Nel 2012 sono morte di parto 82 donne, mentre finora nel 2013 siamo già a 36».Tre mesi fa Funny Chilembo ha dovuto portare qui suo figlio Jefther, un anno e tre mesi. «C’erano fino a 5 bambini in un solo letto e non era possibile usare i bagni – ricorda –. Le mamme sono costrette a dormire per terra e il personale sanitario approfitta della loro ignoranza. Nella settimana in cui sono stata lì dentro almeno tre bambini sono morti, due dei quali di malaria, ma avrebbero potuto salvarli».«La gente sta morendo per mancanza di cure», conferma James Lupiya, di mestiere agricoltore. È venuto fin qui di mattina presto da un villaggio lontano per far effettuare un controllo al figlio di 1 anno e ora aspetta sotto un albero fuori dall’ospedale mentre la moglie è dentro con il bambino. «Poche settimane fa nella mia famiglia è morto di malaria un giovane di 32 anni, le cose devono cambiare». «Sei mesi fa sono state distribuite 400mila zanzariere nel distretto tramite il Fondo globale – sottolinea da parte sua Mndalira – ma molti pescatori le hanno usate per pescare oppure le hanno rivendute». Una famiglia esce dall’ospedale. Il padre, Saini Mabonzo, tiene in braccio Aisha, tre giorni di vita. Al suo fianco un altro figlioletto di due anni e la moglie Esnati, 20 anni, che trasporta sulla testa le pentole che ha dovuto usare per prepararsi da mangiare durante la degenza nel reparto maternità. Stanno tornando al loro villaggio insieme alla nuova nata, protetta dal sole con un grande ombrello. «Sì, le condizioni non erano il massimo e ho visto almeno un paio di donne costrette a dormire per terra – spiega Esnati – ma oggi non voglio pensarci, oggi porto a casa Aisha».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: