mercoledì 14 gennaio 2009
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Hanno l’aria tranquilla e ri­lassata, a volte perfino an­noiata, come se stessero assistendo ad un film con una tra­ma improbabile e con attori di scarso talento. Loro non sono cer­to i protagonisti, anzi dicono di es­serne fuori. Anche se stanno den­tro una gabbia, ammanettati e sor­vegliati a vista. Eccoli qua i tre ce­ceni accusati di aver preso parte all’assassinio di Anna Politkov­skaja, la giornalista russa uccisa sulla sua porta di casa a Mosca il 7 ottobre del 2006. Sono i fratelli I­brahim e Dzabrail Makhmudov, due ragazzotti tarchiati, maglietta sportiva e capelli a caschetto tipo Beatles. Poi c’è Serghei Khazhikur­banov, sulla trentina, giubbotto di pelle e sguardo gelido, ex ufficiale di polizia. Il processo a loro carico è cominciato lo scorso novembre ed era previsto che dovesse svol­gersi a porte chiuse.Solo in segui­to alle proteste dei legali della fa­miglia Politkovskaja il tribunale ha fatto marcia indietro ammettendo il pubblico alle sedute. Ma quando ci presentiamo al nu­mero 37 dell’Arbat, la famosa via pedonale di Mosca, davanti alla palazzina gialla dove ha sede la Corte militare, dobbiamo sotto­porci ad una lunga trafila burocra­tica. «Non tutti possono entrare, i posti disponibili sono molto po­chi » si scusa il funzionario. Dentro l’aula però nei banchi riservati al pubblico non c’è anima viva, ad eccezione del ristretto gruppo di cronisti giudiziari. L’uccisione del­la coraggiosa reporter che osò sfi­dare Putin e denunciò i crimini di guerra in Cecenia ha scosso il mondo intero. «Ma i russi non so­no molto interessati a questo pro­cesso – ammette sconsolato un collega russo –. Veniamo qui per dovere professionale, raramente scriviamo qualcosa». Non è la sola sorpresa. Dietro le sbarre gli imputati sono quattro. Oltre ai tre ceceni vi è anche un russo, Pavel Ryaguzov, ex colon­nello del Fsb, i servizi segreti che hanno preso il posto del Kgb. Non è direttamente implicato nell’as­sassinio della giornalista ma è ac­cusato di tentato omicidio, insie- me con la banda cecena, nei con­fronti di un’altra persona. In quan­to membro dei servizi di sicurezza Ryaguzov dev’essere giudicato da un tribunale militare. Il che spiega come mai il giudice ed il Pubblico Ministero portano una divisa. Ma non si capisce perché i due casi sia­no confluiti in un unico procedi­mento. Misteri della giustizia rus­sa che dibatte dell’assassinio del­la Politkovskaja mischiandolo al tentato omicidio di un perfetto sconosciuto. Che qui sia in discussione il buon nome di polizia e servizi segreti non c’è dubbio. Ma in quest’aula non compaiono né il killer né i mandanti che hanno deciso d’eli­minare la scomoda giornalista. Ru­stan Makhmudov, fratello dei due ceceni alla sbarra e considerato l’e­secutore materiale del delitto, è fuggito in Occidente. Quanto ai mandanti ci sono soltanto suppo­sizioni e vaghe accuse, come quel­la mossa dal procuratore Jurij Chajka che ha puntato il dito con­tro «personaggi che si trovano al­l’estero e vogliono destabilizzare la Russia», alludendo all’ex oligar­ca Berezovskij, nemico giurato di Putin. L’inchiesta condotta dal pro­curatore Chajka si è rivelata piena di lacune, la maggior parte dei so­spettati è già stata scagionata. Sul banco degli imputati sono rimasti i tre ceceni, noti come quelli della 'Cosca Lasagna' (dal nome del ri­storante dove si riunivano). Due balordi ed un poliziotto radiato per i suoi legami con la malavita, una piccola banda che avrebbe avuto un ruolo marginale nell’omicidio. L’ha confermato l’esame del Dna: le tracce trovate sulla scena del cri­mine non corrispondono a quelle degli imputati. C’è dunque il rischio concreto che il processo per il caso Politkovskaja finisca in un nulla di fatto, come tutte le indagini su uccisioni e mor­ti sospette di tanti altri giornalisti russi. L’ultima brutale aggressione è avvenuta due mesi fa a Khimki, un sobborgo alle porte di Mosca. Mikhail Beketov, direttore del gior­nale locale Pravda è stato picchia­to selvaggiamente ed è rimasto fra la vita e la morte per molti giorni. Per salvarlo i medici hanno dovu­to amputargli una gamba. Beketov si era fatto promotore di una cam­pagna ecologista contro la costru­zione di una nuova autostrada e qualcuno l’ha voluto punire. Un caso minore che però ha avu­to una vasta risonanza. Ne hanno parlato giornali e tv nazionali, hanno espresso la loro condanna influenti politici. «Non era mai suc­cesso finora – nota Elsa Vidal di Re­porter senza frontiere –. Difficile credere che tanto improvviso sde­gno sia sincero». C’è chi sospetta che tanta attenzione per il caso Beketov miri a far passare in se­condo piano proprio il processo Politkovskaja. Il Cremlino nega e fa sapere che è allo studio la crea­zione di un centro per la protezio­ne dei giornalisti. Ma allo stesso tempo il governo ha proposto di modificare il codice penale, esten­dendo il reato di alto tradimento a tutte le attività dirette contro « la sicurezza della Russia » , un con­cetto molto ampio che potrebbe includere i contatti dei giornalisti russi con organizzazioni straniere già finite nel mirino del potere. Ed in base alla legge contro l’estremi­smo entrata in vigore l’anno scor­so, la polizia ha fatto irruzione il 5 dicembre nella sede di San Pietro­burgo di 'Memorial', l’associazio­ne che difende i diritti umani e compie ricerche sulle repressioni staliniane, sequestrando tutti gli archivi. L’accusa è di strumenta­lizzare la ricerca storica in chiave anti-governativa. In Russia tornerà ad essere reato l’anti-stalinismo?
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