mercoledì 21 aprile 2021
Il report annuale di Amnesty International certifica una riduzione globale delle condanne a morte eseguite. Ma l'Egitto triplica
Solo il boia non si ammala: altre esecuzioni in pandemia

Ansa

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Un paradosso. Terribile. Lo nomina Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International: «Mentre il mondo cercava il modo di proteggere le vite umane dalla pandemia, alcuni governi hanno mostrato una sconcertante ostinazione nel ricorrere alla pena capitale». Il Covid ha reso ancora più atroce la condizione dei condannati a morte: «La pandemia – spiega Callamard – ha fatto sì che molti prigionieri nei bracci della morte non abbiano potuto incontrare di persona i loro legali e che molti che hanno cercato di fornire aiuto si sono dovuti esporre a gravi, e del tutto evitabili, rischi per la loro salute».
Il report annuale di Amnesty International certifica una tendenza ambivalente: una riduzione globale delle esecuzioni, a cui fa da contraltare una “fiammata” concentrata in un pugno di Paesi. Nel 2020 le condanne eseguite, in 18 nazioni, sono state 483 (16 le donne uccise). Si tratta del dato più basso registrato in oltre un decennio, in calo del 26% rispetto al 2019 e del 70% rispetto al picco di 1.634 casi registrato nel 2015. L'88% delle esecuzione si sono concentrate in quattro Paesi: almeno 246 in Iran, dove la pena capitale «è sempre più usata come arma di repressione politica contro dissidenti e minoranze etniche», 107 in Egitto (che ha triplicato le uccisioni), 45 in Iraq e 27 in Arabia Saudita. Come nelle edizioni passate, il calcolo globale non include le migliaia di esecuzioni che vengono eseguite in Cina, dove i dati sulla pena di morte sono classificati come segreto di Stato, e pesa anche l'accesso estremamente limitato alle informazioni in Corea del Nord e Vietnam, che si ritiene applichino in larga misura le condanne capitali.
Risultano in calo le nuove sentenze di morte emesse nel mondo, almeno 1.477 ossia il 36% in meno rispetto al 2019. La pena di morte è stata applicata 17 volte negli Stati Uniti nel 2020, e a fine dicembre c'erano 2.485 detenuti condannati alla pena capitale.
Per Agnès Callamard «la pena di morte è una punizione abominevole e portare a termine esecuzioni nel mezzo di una pandemia ne ha ulteriormente evidenziato la crudeltà. L'uso della pena di morte in circostanze del genere è un attacco particolarmente grave ai diritti umani». Nonostante le ombre, c’è anche qualche luce. Come quella che illumina i Paesi che hanno chiuso definitivamente con il boia. Secondo dati aggiornati ad aprile del 2021, 144 Stati hanno abolito la pena di morte nelle leggi o nella prassi, 108 dei quali per tutti i reati. «Nonostante alcuni governi si ostinino a usare la pena di morte, il quadro complessivo del 2020 è stato positivo. Sono aumentati gli Stati abolizionisti», commenta Callamard. «Alla fine del 2020 un numero record di 123 Stati ha approvato la risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite per una moratoria sulle esecuzioni. La pressione sugli altri stati sta aumentando». Amnesty International non ha dubbi. questa tendenza deve proseguire.

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