venerdì 14 settembre 2012
​Dietro il nuovo boom degli stupefacenti nelle città statunitensi ci sono i gruppi criminali del Messico che agiscono in società con i terroristi afghani. Le partite vengono pagate in contanti o fucili fabbricati nelle armerie texane.
«L'Africa è l'anello più debole dei controlli»
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​Ifatti, spesso, non parlano da soli. Neppure quando sono in successione quantomeno sospetta. I militari della Marina messicana hanno offerto ieri ai flash dei fotografi il volto infastidito del corpulento Jorge Costilla, alias “El Coss”, il super boss della droga e capo della banda del Golfo. Lo hanno catturato due giorni fa nel Tamaulipas. Il Dipartimento di Stato Usa aveva messo su di lui una taglia di 5 milioni di dollari: “El Coss” era stato fra i primi a diversificare le esportazioni di stupefacenti nel mercato americano.Alla “tradizionale” cocaina, negli ultimi anni aveva abbinato l’eroina, promuovendo un nuovo boom della sostanza tra i giovani, dopo il declino di fine anni Novanta. Un’intuizione milionaria, ben presto scippata dai rivali della banda di Sinaloa, guidata da Joaquín “El Chapo” Guzmán. Quest’ultimo sarebbe stato così abile da portare il business perfino in cittadine remote dell’Ohio, del Kentucky, dell’Indiana o della Virginia in cui l’eroina non era mai arrivata. Avvolgendo, coi suoi tentacoli criminali, ben 1.286 centri statunitensi, secondo il dipartimento di Giustizia. La sfilza di arresti delle ultime due settimane lo dimostra. Prima è stata sgominata una rete di 37 persone che trafficava eroina afghana negli Usa, via Colombia, per conto del Chapo. Poi è caduto “El Señor”, al secolo Adelmo Niebla González, uno dei luogotenenti di Guzmán: era lui a controllare la vendita al dettaglio dello stupefacente nelle varie piazze americane. In cui sempre più spesso la qualità commerciata è inconfondibilmente asiatica. È stato proprio questo dettaglio ad allarmare Washington. E a far venire alla luce un fenomeno inquietante: la penetrazione dei gruppi criminali messicani in Oriente. I narcos sono abilissimi nel tessere alleanze: oltre alle mafie locali, hanno aperto “canali commerciali” con le cellule terroristiche. In primis coi ribelli taleban che, a dispetto della Nato, controllano la produzione di oppio – e dunque di eroina – in ampie zone dell’Afghanistan. «I taleban, dunque, sono un partner fondamentale per mettere le mani sui papaveri afghani», spiega ad <+corsivo>Avvenire<+tondo>, Edgardo Buscaglia, esperto internazionale di traffico di droga e attualmente docente alla Columbia Law School di New York. Entrambi ci guadagnano. Non solo soldi. In cambio di una quota nel commercio dell’oppio, data la vicinanza col fiorente mercato delle armi americano, gli uomini del Chapo sono in grado di offrire ai terroristi afghani un discreto arsenale bellico. Non di rado, dalle armerie del Texas, spesso, pistole, bazooka e kalashnikov finiscono nelle mani dei seguaci del mullah Omar. Ai narcos non interessano le ideologie ma “el negocio” (il business). Appena cinque anni fa, l’eroina venduta nelle strade Usa era “made in Mexico”, cioè cresciuta nelle piantagioni di oppio nelle aride gole della Sierra Madre. Troppo poca – nonostante il recente boom delle coltivazioni – per soddisfare una domanda in crescita. Da qui l’intuizione vincente del Chapo: globalizzare il traffico di eroina. Guzmán è stato il primo a trasformare la sua organizzazione criminale – il cartello di Sinaloa – in una multinazionale dell’illecito da un miliardo di dollari all’anno, quanto il fatturato di Facebook. Tanto da guadagnarsi dalla Drug Enforcement Administration (Dea), l’agenzia anti-droga statunitense, il titolo di narcos più potente della storia. Non male per uno soprannominato “El Chapo”, il piccoletto. Il contatto tra messicani e taleban avviene in Turchia, principale snodo del corridoio balcanico, attraverso il quale l’eroina fluisce verso l’Occidente. «Lì i narcos acquistano i carichi attraverso una serie di aziende fittizie di import-export. Poi si incaricano del trasporto negli Stati Uniti e la rivendono al dettaglio, dove ormai hanno soppiantato gli altri gruppi criminali», continua Buscaglia. In pratica, l’eroina compie una sorta di percorso inverso rispetto alla cocaina: viene portata in Messico o in Colombia – in genere dopo una lunga staffetta tra Africa orientale, Venezuela e Caraibi – e fatta entrare in territorio americano via terra o via aerea. Spesso nello stomaco dei corrieri. Il cosiddetto “traffico-formica” di cui a luglio la Dea ha denunciato un forte aumento. Nella sola Arizona nel 2011, sono stati sequestrati quasi 400 chili di eroina, cento in più rispetto all’anno precedente. Un rischio comunque calcolato. Negli Usa, l’eroina quadruplica il valore: se ad Ankara un chilo vale 10mila dollari, a Washington rende tra 45 e i 70mila. L’alleanza coi taleban, inoltre, è un ottimo pass-part-tout per allargare il business all’Estremo oriente. Trafficanti di droga messicani sono stati arrestati a Singapore, Cina, Taiwan, Thailandia e Iran. Mercati emergenti, in cui insieme al reddito aumentano anche i potenziali consumatori di droghe. E le multinazionale del crimine messicano sono sempre a caccia di occasioni.
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