martedì 24 maggio 2022
Sergeij Anatolievych ha filmato per 40 secondi la «marcia della morte». «Ho sentito le voci dei russi Mi sono messo alla finestra, un po’ nascosto da questa tenda. Vede? Così»
Un frame del video pubblicato dal New York Times

Un frame del video pubblicato dal New York Times - Ansa / New York Times

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Yablunska 144, come indica il cartello bianco, è l’indirizzo della vecchia Agrobudpostach di Bucha, sobborgo di 45mila abitanti a una trentina di chilometri da Kiev. La fabbrica di macchinari agricoli, in uno slargo della strada che conduce a Irpin, altro satellite-dormitorio della capitale, ormai non esiste più. La struttura, un rettangolo di mattoni rossi alto quattro piani, è stata rimodernata e ora ospita una serie di uffici. O meglio ospitava, fino al 3 marzo. Quel giorno, i parà di Mosca hanno fatto irruzione nella cittadina. E hanno trasformato l’edificio nel loro quartier generale. Nei piani alti risiedevano i militari. Negli scantinati, invece, venivano portati i prigionieri per essere interrogati. «Poi venivano uccisi nel patio sulla sinistra della palazzina», accusa Kiev. In quel luogo – dove qualcuno ora ha deposto un mazzo di garofani rossi –, il 3 aprile, appena dopo il rituro delle truppe di Mosca, giornalisti e forze di sicurezza ucraine hanno fotografato una fila di cadaveri.

Il Cremlino ha parlato di montatura. La settimana scorsa, una serie di video diffusi dal New York Times e risalenti al 4 marzo, sembrano confermare la versione del governo di Kiev. In essi, si vedono i russi far sfilare lungo la via nove prigionieri legati, otto dei quali sono stati ritrovati cadavere nel patio incriminato. Da Mosca, stavolta, non è arrivata nessuna risposta ufficiale. Alcuni propagandisti filo-russi hanno, tuttavia, di nuovo insinuato il dubbio che si trattasse di un fake. «No, non lo è. E sa perché ne sono sicuro? Perché ho girato io uno dei video», dice Sergeij Anatolievych, meccanico, che abita nella casa di fronte all’ex fabbrica. Dalla stanza sul retro, Sergeij ha filmato per quaranta secondi la “marcia” dei nove. L’ultima per otto di loro.

«Il giorno dopo l’arrivo delle truppe di Mosca ero qui in soggiorno e ho sentito le voci dei soldati. Mi sono avvicinato alla finestra per capire che cosa stesse accadendo. Ho visto passare militari e prigionieri: d’istinto, ho preso il telefonino e mi sono messo a riprendere. Per cautela ho lasciato le tende chiuse. Vede? Così. Avevo paura ma ho pensato che fosse importante farlo, nonostante i rischi», afferma l’uomo, di fronte alla stessa finestra da cui ha girato il video, coperta, come allora, da una tenda sottile color indaco. Il che spiega perché le immagini risultino sfuocate. Scostandola e avvicinandosi al vetro si intravedono la recinzione di alluminio e la casa di fronte.

La visuale, però, è in parte occultata dalle fronde di un castagno. «Tutto questo verde allora non c’era. A marzo da noi è inverno, i rami erano secchi. Si vedeva molto bene», aggiunge Sergeij. Che accetta di parlare pur trovandosi in un momento particolare. L’anziana madre è morta poche ore prima dell’intervista. «Ma è importante far sapere la verità», sottolinea. Per la stessa ragione, ha scelto di condividere il video con i reporter del New York Times. «Sono rimasti qui per giorni. Andavano e venivano sulla strada, facevano domande a tutti. Abbiamo parlato e ho deciso di dare loro il video perché lo pubblicassero. Voglio che si sappia quanto hanno fatto i russi a Bucha. Sono stati giorni molti duri. A febbraio non sono voluto andare via perché non credevo che ci invadessero sul serio. Quando è accaduto, non potevo più fuggire. Per fortuna, la mia famiglia ed io siamo stati evacuati il 13 marzo con un corridoio umanitario».

Anche Vyacheslav Volynets, dirimpettaio di Sergeij, assicura di aver assistito alla tragica sfilata del 4 marzo. «Ho visto tutto, ma non sono stato io a filmare la scena. Mia madre, nei giorni scorsi, si è spiegata male con alcune tv, anche italiane, che l’hanno intervistata. Ma è ancora sotto choc. In realtà, i filmati diffusi dal New York Times sono due. Quello dall’alto è stato fatto dalla camera di sorveglianza all’angolo – dice, indicandola –. L’altro da Segeij. Dopo che hanno portato via i prigionieri e li hanno rinchiusi negli scantinati, prima di ucciderli, hanno cominciato a rastrellare tutte le case intorno».

Vyacheslav, con altri quattro vicini, è stato catturato e interrogato per 45 minuti nello slargo dell’ex fabbrica. I militari cercavano eventuali informatori. È vivo grazie all’insistenza della madre che ha convinto uno dei soldati russi. «Non so che cosa sia accaduto agli altri. Uno di loro, secondo quanto mi ha raccontato un vicino, è stato ucciso. Non lo conoscevo. Tre degli uomini che, invece, compaiono nel video sì. Nessuno di noi ha potuto aiutarli. Ora, però, possiamo almeno fare in modo che abbiano giustizia».

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