martedì 29 marzo 2016
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NEW YORK Ci vorranno cinque anni per riparare i danni fatti dal Daesh a Palmira. Ma la situazione sembra meno peggio di quanto si pensasse. Secondo le prime valutazioni del capo delle Antichità e dei musei di Siria, Maamoun Abdelkarim, con l’aiuto dell’Unesco il sito archeologico, uno dei più importanti del mondo, può essere recuperato. «Abbiamo personale qualificato, conoscenza e studi. Con l’approvazione dell’Unesco, possiamo cominciare il lavoro nel giro di un anno», ha spiegato Abdulkarim, secondo cui «l’80% delle rovine è in buone condizioni ». Alcuni esperti siriani stanno per raggiungere la zona. «Ho chiesto loro di valutare le rovine e la città vecchia. Stanno fotografando i danni e documentando ogni cosa. Poi il restauro potrà cominciare». I jihadisti avevano preso il controllo di Palmira nel maggio scorso, usando l’anfiteatro come scenografia per le esecuzioni, tra cui quella dell’82enne curatore del sito, Khaled al-Assaad, rapito a metà luglio del 2015 dai miliziani del Daesh, ripetutamente torturato e poi barbaramente ucciso – il suo corpo decapitato e appesa a una colonna – perché si era rifiutato di fornire informazioni su dove fossero nascoste antiche opere d’arte. Ora la città è libera. Con una delle offensive più forti – durata tre settimane e costata la vita a 180 soldati e almeno 400 militanti – i jihadisti sono stati cacciati dai quartieri residenziali e dal sito. Sarebbe anche stata interrotta la via di rifornimento tra Plamira e Raqqa, “capitale” dell’autoproclamato Califfato e prossimo obiettivo del governo di Damasco. «Un ri- sultato importante e una nuova prova di efficienza dell’esercito siriano e dei suoi alleati nella lotta al terrorismo », ha dichiarato il presidente Bashar al-Assad sottolineando al contempo la «mancanza di serietà dell’alleanza guidata dagli Stati Uniti» che, nonostante coinvolga oltre 60 Paesi, contro i terroristi, in un anno e mezzo avrebbe riportato solo «risultati meschini». La riconquista di Palmira sarebbe stata resa possibile soprattutto grazie alla copertura aerea russa che ha scatenato una vera e proprio pioggia di fuoco sulle postazioni del Daesh – oltre 200 raid aerei in 24 ore, colpiti 158 obiettivi. Una vittoria «significativa e simbolica», ha detto il presidente russo Vladimir Putin. Mosca, che dopo cinque mesi di azioni aeree in Siria ha da poco richiamato, almeno sulla carta, gran parte dei suoi caccia («missione compiuta », aveva detto Putin), ha ora sottolineato che il sostegno alle truppe siriane «continuerà», visto che l’ultima operazione «ha rinverdito il morale e rigenerato il potenziale bellico ». Già da questa settimana, il Cremlino invierà artificieri e mezzi speciali per sminare la zona archeologica. Un colpo duro per gli Stati Uniti. Accusati ieri dal giornale britannico Independent di aver assistito l’anno scorso alla caduta della “perla del deserto” senza muovere un dito. Oltre ad aver mantenuto il silenzio, insieme alla Gran Bretagna, sulla liberazione di Palmira, «accuratamente programmata da Putin». «Non eravamo noi (occidentali) a dover annientare l’Isis?», ha chiesto polemicamente il commentatore britannico Robert Fisk. «Scordatevelo – è la sua conclusione sarcastica –, a fare il lavoro sono Putin e Assad. © RIPRODUZIONE RISERVATA Mezzi blindati distrutti tra le rovine a Palmira (Reuters)
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