venerdì 4 marzo 2011
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L'omicidio del ministro Bhatti sembra sottolineare l’impossibilità di contrastare il fondamentalismo religioso collegato a interessi diffusi e potenti. Il Pakistan, Paese nato nel 1947 per dare una patria ai musulmani che temevano di diventare cittadini di seconda classe in un’India libera dal dominio britannico, sta ora mostrando un volto ostile, persecutorio verso le fedi minoritarie. Ne è convinto padre James Channan, responsabile della vice-provincia pachistana dei Domenicani, consulente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace prima, e poi della Commissione per il dialogo religioso con i musulmani. Un personaggio che nel dialogo con l’islam ha impegnato molto della sua vita di religioso e di pachistano.«Posso dire che stiamo toccando il punto più basso nei rapporti tra le comunità religiose. Certamente viviamo in tempi duri, dove si giudica corretto l’assassinio per giustificare e imporre il proprio credo, tuttavia non possiamo perdere di vista l’ideale di un paese unito ma dove tutti possono godere di uguale protezione e diritti. La reazione anche di leader musulmani all’assassinio del ministro Bhatti è incoraggiante in questo senso».Ma quale spazio è ancora possibile per il dialogo e la convivenza tra musulmani e minoranze in Pakistan? «I fondamentalisti, ancor più quando si rivolgono alla violenza aperta, sono un problema, non solo per le minoranze di questo Paese, ma anche per la maggior parte degli stessi musulmani. È un fatto che, in anni terribili come quelli recenti, le vendette, gli attentati, le sparatorie hanno fatto molte più vittime, sovente in modo indiscriminato, tra i musulmani che non tra le minoranze. Allo stesso modo, la legge antiblasfemia è applicata più frequentemente contro altri musulmani che non verso esponenti di fedi diverse da quella islamica».Questo dato di fatto non può però fare ignorare che lo spazio di diritti, libertà civili e di benessere – prima ancora che di pratica religiosa – sono nel Paese sempre più ridotti: «La situazione dal Pakistan oggi è quella di una Paese che ha fallito i suoi ideali. Occorre anche essere coscienti delle dinamiche di un Paese in via di sviluppo, che cerca una strada propria fra pressioni fortissime e con strutture discriminatorie antiche e consolidate. Ci sono musulmani radicali, ma anche musulmani progressisti o liberali. La risposta dello Stato e della società potranno fare la differenza e ridare anche a chi come noi ha dedicato la vita al dialogo, nuova speranza e coraggio. Oggi i cristiani si sentono assediati, ogni musulmano è un potenziale nemico. L’uccisione di Bhatti sembra avere messo fine a ogni ideale di coesistenza. Occorrerà impegnarsi anche per evitare che questa barriera che va crescendo diventi invalicabile».
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