sabato 8 aprile 2017
Jefferson Jaramillo, sociologo della Javeriana, a Roma per un incontro di Sembrando Paz. «Lavorare con le comunità colpite e con gli ex combattenti delle Farc»
Manifestazione per la pace nel Cauca, Epa

Manifestazione per la pace nel Cauca, Epa

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«La sfida principale per la pace è l’applicazione dell’accordo, ratificato il primo dicembre, su scala locale». Jefferson Jaramillo, direttore della cattedra di sociologia dell’Università Javeriana di Bogotà, ha seguito fin dall’inizio il difficile negoziato che ha portato alla fine di 52 anni di guerra tra le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc) e il governo colombiano. Il conflitto più lungo d’America. «Ora, quanto è stato pattuito, deve realizzarsi nelle differenti comunità. In particolare per quanto riguarda gli aspetti cruciali: riforma agraria, partecipazione politica, sostituzione delle coltivazioni di coca, giustizia e verità. E’ il tempo di passare dalla scena politica all’arena pubblica territoriale», afferma Jaramillo, a Roma per l’evento organizzato da Sembrando Paz. Un progetto quest’ultimo promosso dall’associazione Migrantes y Familiares (Mfam), con il patrocinio di Roma Capitale. Due giornate di riflessione sulle sfide della pace con la partecipazione, oltre di Jaramillo, di Claudia Rodríguez, del Foro internacional de víctimas, Zaria Galiano di Mfam, Marco Papacci, dell’associazione Italia Cuba e della deputata Giovanna Martelli.

Accanto alle comunità colpite

Il post conflitto in Colombia è cominciato con l’avvio del processo di disarmo delle Farc: queste ultime si sono riunite in 26 zone speciali dove resteranno almeno fino a giugno, quando potranno reintegrarsi nella società civile. «Questa fase iniziale è delicata. E’ centrale il sostegno della società civile. A tal fine, è importante un aumento della mobilitazione sociale per la pace». La Javeriana sta attivando due progetti nelle zone più colpite dagli scontri: Charras e Playa Rica. “Il livello locale è il vero banco di prova”, aggiunge il sociologo. Là risiedono le radici del conflitto pluridecennale. «Là le comunità dovranno convivere con gli ex miliziani. Stiamo lavorando anche con questi ultimi, soprattutto sull’aspetto della memoria, affinché possano elaborare il loro passato e progettare il futuro».

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