martedì 18 agosto 2020
Si fermano le grandi acciaierie, la leader d’opposizione in esilio: pronta a governare. Il presidente «apre»: voto solo dopo la nuova Costituzione
Operai in sciopero contro Lukashenko, che incassa l'aiuto di Putin

Ansa

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La Bielorussia si ferma, pronta a tutto pur di avere la meglio sulla repressione che il presidente Aleksandr Lukashenko sta mettendo in atto nel Paese ormai da oltre una settimana. Una misura drastica, che in un Paese dell’ex Unione Sovietica assume un significato ancora più forte. Il capo di Stato si vede sempre più accerchiato e, dopo aver cercato di difendere lo strapotere che detiene dal 1994, ha aperto alla possibilità di un voto presidenziale dopo il referendum sulla nuova Costituzione.

Ma a Minsk, come in tutto il resto del Paese, non molti sono disposti a credere alle sue promesse a scatola chiusa. Domenica, nella capitale, ci sono state due manifestazioni. La prima, modesta, composta da presunti sostenitori di Lukashenko. Secondo l’opposizione, questi ultimi sono stati costretti a manifestare dalle forze speciali, che sono andate a prelevarli nelle loro case in tutte le parti del Paese. Dall’altra parte, il raduno più imponente che la Bielorussia abbia mai visto, con decine di migliaia di persone che protestavano pacificamente e che chiedevano a Lukashenko solo una cosa: di andarsene. Una situazione che preoccupa tutti, anche se in modo diverso.

Papa Francesco, domenica, al termine dell’Angelus, ha voluto rivolgere un pensiero alla «cara Bielorussia»: «Faccio appello al dialogo, al rifiuto della violenza e al rispetto della giustizia e del diritto. Affido tutti i bielorussi alla protezione della Madonna, regina della pace». La Russia di Vladimir Putin parteggia, in modo piuttosto evidente, per lo zar di Minsk, che, così, avrebbe un debito di riconoscenza enorme nei confronti di Mosca. Proprio il Cremlino è stato accusato di aver aiutato a organizzare la manifestazione filo governativa di domenica.


Domenica, a Minsk, in piazza la folla più numerosa nella storia del Paese
Liberati gli arrestati Ma il Cremlino cerca di puntellare l’alleato: Mosca starebbe schierando i propri mezzi al confine

Ieri si è diffusa la notizia che decine di camion Uran e KamAZ, gli stessi usati dal corpo di vigilanza interno russo, senza numero di identificazione, sarebbero vicini al confine con la Bielorussia. Stando a un testimone oculare, a bordo ci potrebbero essere circa 600 uomini. Sempre ieri, per la prima volta, il presidente statunitense, Donald Trump, ha definito la situazione nell’ex repubblica sovietica «terribile», aggiungendo che gli Usa seguono da vicino quanto sta accadendo nel Paese.

Dalla Lituania, dove si è rifugiata per non essere arrestata nella repressione successiva alle proteste, Svetlana Tikhanovskaya, la principale oppositrice di Lukashenko e vero exploit delle scorse elezioni, si è dichiara «pronta ad assumersi le sue responsabilità e a guidare il Paese». Lo zar di Minsk sembra sempre più stretto in un angolo. A preoccuparlo non ci sono solo le migliaia di persone in piazza da giorni, ma soprattutto quelle che stanno incrociando le braccia nelle fabbriche più importanti del Paese, come l’acciaieria Bmz. Ovunque gli operai, organizzati in comitati, hanno votato a favore dello sciopero in modo pressoché unanime. Fra questi, ci sono anche alcuni dipendenti della Belteleradiocompany, società che riunisce le tv e le radio di Stato. Un particolare importante, perché va a colpire la macchina della propaganda del presidente. Lukashenko ha provato a mediare, recandosi nelle fabbriche. Quando, però, s’è rifiutato di consentire nuove elezioni, si è preso un coro di «vattene».

A quel punto è stato costretto a tornare sui suoi passi e ha aperto al voto, seppur dopo la nuova Costituzione e ha liberato quasi tutti i manifestanti fermati in questi giorni. Nella speranza di ottenere, se non la cessazione della proteste, almeno una tregua, che però si preannuncia molto fragile.

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Chi è: la traduttrice che lo zar teme

Fino a qualche mese fa, Svetlana Tikhanovskaya avrebbe pensato tutto, ma non di trovarsi, nel giro di pochi giorni a diventare la principale oppositrice di Aleksandr Lukashenko. E certo non lo credeva nemmeno lo «zar di Minsk», che ha impedito a molti oppositori e candidati potenzialmente pericolosi di candidarsi, ma non a lei. Classe 1982, di professione traduttrice, Svetlana è moglie di Sergeij Tikhanovsky, blogger e imprenditore, da tempo critico nei confronti del regime, arrestato nel maggio scorso proprio per evitare di partecipare alla campagna elettorale in vista del voto dello scorso 9 agosto in cui esito ha scatenato le proteste. Dopo l’arresto del marito, la consorte ha deciso di candidarsi al suo posto, mettendo in piedi una campagna elettorale improvvisata, con la quale però ha iniziato a riempire le piazze e a occupare sempre più spazio sulla stampa straniera, grazie al suo messaggio semplice e diretto, con il quale prometteva un paese nuovo, più libero e con meno corruzione. Alle elezioni di domenica 9 agosto che conquistato quasi l’11% e ha dovuto lasciare il Paese per sfuggire alla repressione delle proteste che il presidente ha messi in atto nel Paese, dopo che la folla lo ha accusato di aver manipolato il risultato elettorale.

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