sabato 31 agosto 2013
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«Ah, ah, lei si siede qui perché si sente al sicuro? Perché s’illude che ad Achrafieh o a Hamra le autobomba non ci siano? Invece ci sono anche qui. Nascoste chissà dove, ma ci sono. E quando i signori Hezbollah, o i loro amici siriani, o chissà chi altro ancora decideranno di usarne una speriamo di aver già finito il caffè e di essere tornati a casa, inshallah...». Bisogna prenderla sul ridere. Come fanno Bassam e Kassan, fratelli gemelli dallo sguardo ilare che sembrano usciti da un film di Mel Brooks, fatalisti quanto basta per non saper rinunciare alla loro visita quotidiana al Caffè Younes nonostante sia venerdì di preghiera e le scintille fra sciiti e sunniti in questo scisma religioso travestito da guerra civile in un attimo diventano un falò, o peggio.
Nel rovente pomeriggio di fine agosto Beirut si traveste di una quiete che non le appartiene. Gli occhi sono puntati sul lungo e tormentato confine con la Siria che va dal Golan a Baalbeck, come se scavalcando con l’immaginazione le vette orgogliose del Jebel Lubnan, il Monte Libano rivestito di cedri, potessero divinare il futuro e sapere in anticipo che gioco si gioca poco più in là, in quella Damasco che per la Casa Bianca è diventata la Danzica e la Srebrenica del Medio Oriente, il punto zero verso cui converge in forze il naviglio a stelle e strisce (naviglio solitario, visto che i cugini inglesi restano al palo, la Nato si chiama fuori e i francesi strepitano ma per ora non si muovono) e da dove può originare una fiammata capace di incendiare tutto il quadrante che va da Teheran al Cairo. Oppure, come di sottecchi si spera, una drôle de guerre che accontenti tutti, Obama perché con qualche salva di Tomahawk possa salvare anche la faccia, Bashar al-Assad perché di quella punzecchiatura dichiaratamente non letale si lecchi rapidamente la ferita, Putin e la Cina perché qualche missile in più non vale una crisi planetaria. Ma dire che a Beirut predomini il buonumore è dir troppo.
Stamattina gli ispettori dell’Onu lasceranno Damasco (alcuni sono già partiti ieri, tra loro l’Alto rappresentante delle Nazioni Unite per il disarmo, Angela Kane) per rientrare all’Aja, ma l’esito dell’ispezione dovrà attendere le prove di laboratorio in Europa. Passeranno giorni, anche se il responso è già immaginabile: l’attacco con i gas nervini c’è stato, le vittime sono documentate. Ma il rapporto non dirà di chi è la mano omicida: non spetta a loro.
Per questo a Beirut come a Tripoli (dove ieri c’è stato qualche tafferuglio fra sciiti e sunniti e dove si va facendo chiarezza sugli autori del terribile attentato della scorsa settimana: siriani e libanesi alawiti, come ovvio), a Sidone come a Canaa il fiato rimane sospeso per il raggelante silenzio di Hezbollah. «Aspettano ordini da Damasco – dicono i saggi ciarlieri del Caffè Younes, luogo eletto per il più saporoso bavardage beirutino – lo sceicco Nasrallah vuol vedere che succede prima di muovere i suoi uomini». Che peraltro sono innervositi e un po’ sfiduciati: nella campagna di Siria a fianco dei lealisti di Assad hanno perso decine di compagni senza che nell’opinione pubblica libanese si riscontrasse un qualche sussulto di simpatia nei loro confronti, anzi.
Ma una fiammata di guerra come quella che la Strafexpedition americana rischia di innescare comporterebbe molto probabilmente una ritorsione degli hezbollah nei confronti di Israele con lancio di razzi dal sud del libano, il quadrante custodito dal contingente Onu a guida italiana. Non a caso caccia israeliani hanno sorvolato ripetutamente la zona l’altra notte. Ricognizione, ci si limita a dire, ma è stato un sorvolo dimostrativo. Perché Hezbollah intenda. A conferma di nervi tesi un po’ dovunque, ieri pomeriggio i sauditi hanno drasticamente alzato il livello di allerta delle forze armate: da 5 a 2, mai più accaduto dall’epoca della Guerra del Golfo. Allerta alla frontiera con la Siria anche per i turchi, dopo che il ministro degli Esteri Davutoglu ha affondato la lama accusando Assad di vero e proprio genocidio. E soprattutto occhi vigili e orecchie tese in Israele. Batterie di intercettori sono state montate a Haifa, in Galilea, a Tel Aviv. Non si sa mai.
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