giovedì 23 aprile 2020
Il responsabile per l'Europa, il medico Hans Kluge: "Si tratta di una tragedia umana inimmaginabile". Così alcuni Paesi (Usa compresi) hanno dimenticato i loro anziani
Oms: in Europa strage nelle case di riposo. I casi di Francia, Spagna e Uk
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In Europa, quasi la metà delle persone che sono morte con il Covid-19 erano residenti in "strutture di assistenza a lungo termine" ovvero residenze per anziani o ambiti per lungodegenti, l'ha detto il direttore regionale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per l'Europa Hans Kluge. Il medico ha spiegato che è emerso un "quadro profondamente preoccupante" per coloro che sono in cura a "lungo termine".

"Secondo le stime dei paesi della regione europea, fino alla metà di coloro che sono morti a causa di Covid-19 erano residenti in strutture di assistenza a lungo termine. Si tratta di una tragedia umana inimmaginabile". Un numero altissimo di decessi è stato infatti registrato tra le persone ospitate nelle Residenze assistite per anziani (Rsa).

"C'è un urgente e immediato bisogno di ripensare il modo in cui operano le case di cura e riposo oggi e nei mesi a venire", ha aggiunto sottolineando che "le persone compassionevoli e dedicate che lavorano in quelle strutture - spesso sovraccaricate di lavoro, sotto pagate e prive di protezione adeguata - sono gli eroi di questa pandemia".

Le persone più deboli, non solo anziani ma anche disabili gravi, malati di Alzheimer o di patologie gravi vengono sempre più scartate nella nostra società e adesso, con l'emergenza coronavirus, questa realtà diventa sempre più evidente. Vi proponiamo un breve viaggio in quattro Paesi per fare il punto su questo tema.

Spagna. Oltre 80 anni niente ricovero «Ci stiamo disumanizzando»

Anziani come scarti, i nuovi paria dell’umanità, sottratti alle cure ospedaliere e isolati per il Covid–19 in residenze ridotte a morgue. A provocare sgomento in Spagna non è solo l’ecatombe di almeno 15mila delle 21.717 vittime di coronavirus, decedute nelle case di riposo. Una circolare del governo catalano, che esortava a non ricoverare gli ultra 80enni in terapia intensiva per evitare la saturazione, ha suscitato indignazione. E accuse di immoralità da parte di filosofi come Fernando Savater, Adela Cortina, Javier Gomá e Pablo d’Ors, che hanno denunciato «l’irresponsabilità sociale» di non assistere gli anziani. «In una crisi sanitaria la priorità è salvare vite, tutte quelle possibili – ha detto Cortina –. Non assistere anziani o disabili per il solo fatto che lo sono è una discriminazione inammissibile, contro morale e Costituzione».

Sulla stessa linea Pablo d’Ors, ex cappellano del madrileño Hospital Ramón y Cajal: «Una decisione del genere, aberrante, può essere guidata solo da una visione pragmatica ed erronea» che conduce «a una grande disumanizzazione». Molte le questioni dietro il «dilemma etico», come «ritenere che i giovani diano e gli anziani ricevano soltanto. Non è così. Tutti danno e ricevono, ma il contributo degli anziani non è socialmente apprezzato perché non produttivo quanto a funzionalità economica». Roberto R. Aramayo, presidente dell’Associazione spagnola di Etica e Filosofia politica, ricorda che «i nostri vecchi non meritano di vedersi trattati come qualcosa che grava sul calcolo economico. Dobbiamo loro il rispetto dovuto alle generazioni che ci hanno preceduto, e gratitudine per aver reso possibile la nostra esistenza».
(Paola Del Vecchio)

Gran Bretagna. «Scheda a punti» per accedere alla terapia intensiva: il Nhs mostra il suo volto spietato

Più che di protocolli, si tratta di raccomandazioni affidate alla discrezione dei medici. La sostanza però non cambia: il modello “a punti” istituito dagli esperti del Sistema sanitario britannico (Nhs) per valutare l’opportunità di un ricovero in terapia intensiva per Covid–19 indica che l’accesso a trattamenti vitali, come la ventilazione meccanica, per gli anziani non è scontato. Originariamente sviluppate dall’Università Dalhousie di Halifax e portate alla luce dal Financial Times, le linee guida si basano su una classificazione dei pazienti secondo tre variabili (età, fragilità clinica e patologie pregresse), ciascuna valutata in una scala “a punti”.

I pazienti da ammettere alle cure intensive non devono superare 8 punti. Il fattore che però incide maggiormente è l’età: 4 punti per chi ha tra 71 e 75 anni, 5 per la fascia 76–80 e 6 per gli over 80. Calcolando che, nella migliore delle ipotesi, il punteggio relativo alla fragilità clinica è compreso tra 2 e 3, e che per ogni patologia pregressa (diabete, ipertensione o demenza) si aggiunge un punto, è verosimile che l’accesso degli anziani alle cure sia limitato. Il modello, giustificato dalla necessità di ottimizzare le risorse, ha sollevato un polverone costringendo i vertici del Nhs a ribadire che era solo una proposta. Lo stesso approccio viene però ripreso dalla British Medical Association che, ricordato come ogni trattamento discriminatorio nei confronti di anziani e disabili sia illegale, sottolinea che gli over 75 hanno rispetto ai giovani «una più bassa priorità di ammissione alla terapia intensiva».
(Angela Napoletano)

Francia. Mezzi e cure insufficienti. E lo Stato si scopre debole

Si è fatto il possibile in Francia per prendersi cura degli anziani e offrire loro la massima protezione? In queste settimane l’interrogativo tormenta migliaia di famiglie transalpine, alla luce anche del fatto che più di un terzo della mortalità legata al coronavirus è rappresentata dai decessi di anziani ospitati in case di riposo paraospedaliere per persone dipendenti (Ehpad) e in strutture apparentate.

Per il momento, nel pieno della crisi, non ci sono studi precisi per chiarire la questione. Ma diverse associazioni hanno già lanciato l’allarme, come nel caso di Alliance Vita, da decenni punto di riferimento nella difesa proprio delle persone più vulnerabili. «Constatiamo – dicono – che delle gravi derive etiche minacciano numerose persone anziane, in questo periodo di contagio, di confinamento, di mancanza di mezzi materiali e umani e di saturazione dei servizi ospedalieri di rianimazione», si legge in un comunicato dai toni allarmati diramato a fine marzo, fondato sulle testimonianze raccolte attraverso la linea telefonica “Sos fine vita”. Le segnalazioni sono partite dai pazienti, ma anche da membri del personale di cura e da esperti in medicina. Secondo l’associazione si profila una «situazione grave» alimentata da una somma di disfunzioni: «Data la mancanza d’esperienza e di formazione sufficienti di alcuni medici, la moltiplicazione dei protocolli di sedazione precipitosi, decisi solo per via dell’età avanzata dei malati, evitando ogni tentativo di cura, si lega a una discriminazione, a una negazione di cura, con il rischio di una forma d’eutanasia».
(Daniele Zappalà)

Stati Uniti. Tra Louisiana e Utah, Costituzione stracciata dalle «priorità»

L’età avanzata può portare all’esclusione dal ricovero o dall’accesso a terapie intensive in caso di infezione da coronavirus in vari Stati americani. In alcuni casi le linee guida stilate dalle autorità sanitarie locali contraddicono il principio stabilito dall’Ufficio federale Usa per i diritti civili che chiede agli ospedali di non discriminare i pazienti in base a sesso, etnìa o età. La Louisiana, ad esempio, non offre respiratori ai pazienti affetti da demenza grave o da Alzheimer avanzato. I criteri adottati in Maryland cercano di valutare la sopravvivenza dei pazienti a breve e a lungo termine e assegnano la “priorità più bassa” ai pazienti di età pari o superiore a 85 anni. Le linea guida diffuse a marzo in Pennsylvania mettono all’ultimo posto i pazienti con Alzheimer o meno di 10 anni di sopravvivenza prevista.

Un sistema di calcolo a punti è comune in molti Stati ed è basato su una valutazione nota come Sofa (mai pensata per questo uso), che misura il funzionamento di cuore, polmoni, reni, fegato, sangue e sistema neurologico. In Pennsylvania, Maryland, Tenenssee e Alabama se due persone hanno lo stesso punteggio il respiratore o il diritto di essere ammesso all’ospedale va al più giovane. Il documento che stabilisce l’ordine di priorità nei pazienti dello Utha utilizza invece tre categorie. La prima è l’età, e sostiene che «è ragionevole cercare di salvare la vita ai pazienti più giovani che hanno la minima possibilità di vivere una vita piena». I pazienti cominciano a ricevere meno punti dopo i 30 anni e ne perdono la maggior parte dopo i 60.
(Elena Molinari)

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