mercoledì 4 maggio 2022
Gennadiy Trukhanov chiede sistemi di difesa contro i continui raid. A Mykolaiv dicono che i russi non avanzano. Ma chi è bloccato a Kherson non ha più nulla
Distruzione a Odessa

Distruzione a Odessa - .

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Lo scudo antiaereo di Odessa è stato bucato ancora una volta dai missili russi. Anche se ieri tre sono stati intercettati. Per la prima volta, però, i razzi sono caduti anche in Transcarpazia. A ogni ora i droni di Mosca attraversano anche a bassa quota la città. Una provocazione a cui segue l’immediato abbattimento degli aerei spia senza pilota. Ma è proprio con questi occhi che Mosca decide dove e come colpire. «Dateci sistemi di difesa aerea, se riusciamo a proteggere Odessa la guerra finirà prima», ripete il sindaco Gennadiy Trukhanov.

Al momento non chiede sistemi missilistici, di cui già l’esercito dispone e con il quale ha affondato una mezza dozzina di navi dell’armata del Mar Nero. «La costruzione di un muro antiaereo nella nostra regione – dice Trukhanov – può far terminare la guerra». Non chiede più la chiusura dello spazio aereo (argomento accantonato anche dal presidente Zelensky), ma equipaggiamento di difesa che possa neutralizzare gli attacchi. Anche ieri le sirene sono suonate a lungo e le esplosioni nei dintorni della città hanno segnato un’altra giornata di guerra.

La chiesa bombardata a Odessa

La chiesa bombardata a Odessa - .

I conflitti visti dal campo sono molto meno definiti di quanto non appaia da lontano. A cominciare dalle asserite tifoserie religiose. I fedeli ucraini che si inginocchiano nella chiesa di Sant’Iver lo sanno bene. Nessuno è filo-russo, ma oggi sono venuti a donare provviste ai religiosi e alle religiose del monastero. Il complesso è rimasto fedele alla Chiesa ortodossa di Mosca, tuttavia le parole del patriarca Kirill non vengono prese come oro colato.


Nella chiesa di Sant’Iver, fedele a Kirill,
nessuno è filo-russo. Il pope, scampato al raid di lunedì,
mostra una scheggia metallica
«Siamo a 200 metri dal punto dell’impatto
e guardate quante ce ne sono»
Una parte del tetto dell’edificio è crollata. Gli infissi sfondati

Se non fosse per il 15enne morto e i tre feriti gravi, le campane suonerebbero a festa per ringraziare il Cielo. Il pope convince i militari a chiudere un occhio e lasciarci passare nonostante i divieti sugli obiettivi strategici bombardati, che in giornalisti non dovrebbero mostrare per almeno 24 ore, «allo scopo – è spiegato nei permessi che riceviamo – di non favorire il nemico».

Un frammento del missile che ha colpito la chiesa a Odessa

Un frammento del missile che ha colpito la chiesa a Odessa - .

Ma il pope sorride come un sopravvissuto a una disgrazia. Dalla tasca estrae una scheggia metallica grande come una mano e affilata come un’accetta. Sul sagrato ce ne sono almeno una dozzina, nonostante la polizia scientifica e i religiosi abbiano setacciato per ore l’intero perimetro, separando i vetri infranti dai residui del missile. Alla velocità dei proiettili una di quelle schegge ha colpito il quindicenne, uccidendolo, mentre altri frammenti sparati a raggiera hanno ferito gravemente tre persone.

Il pope della chiesa bombardata a Odessa

Il pope della chiesa bombardata a Odessa - .

«Siamo a più di duecento metri dal punto dell’impatto, e guardate quante ce ne sono», esclama il religioso. Le magnifiche cupole d’oro sono un riferimento per i piloti degli aerei di linea che atterrano a meno di un chilometro dal complesso religioso. E le immagini raccolte sul campo testimoniano solo in parte la violenza del raid. Il monastero, infatti, si trova a pochi metri da una campo di addestramento dell’aviazione ucraina, adiacente all’aeroporto internazionale di Odessa. Intorno, nel convento che circonda la chiesa, una parte del tetto è crollata, le travi in legno spezzate a metà come colpite da un masso piovuto all’improvviso. Ovunque infissi sfondati e un gran daffare dei fedeli per rimettere in ordine e non lasciare in giro pezzi di vetro, macerie, inferriate divelte che possono far male specie quando è buio si rischia di inciampare.

La posizione adottata dai pope è particolarmente scomoda. «Non sosteniamo la guerra, anzi siamo contro il conflitto – spiegano dalla Chiesa ortodossa ucraina (Uoc) sigla che non ha sottoscritto lo scisma da Mosca –, e perciò siamo tra due fuochi». L’entourage di Kirill, che invece teorizza la necessità del conflitto, li guarda con sospetto. E anche in Ucraina sono osservati con diffidenza per non avere rotto i ponti con Mosca.

Dalla vicina Mykolaiv, bastione anti-russo regolarmente bersagliato per indebolirne le difese e impedire che i rinforzi ucraini affluiscano a Kherson, la gente rimasta in paese fa sapere che i russi non avanzano. E a Kherson, porta d’accesso via terra alla penisola di Crimea, l’esercito russo non guadagna terreno. «Molte persone intrappolate non sono in grado di soddisfare i loro bisogni di base, tra cui cibo, acqua e medicine. La consegna di aiuti salvavita rimane difficile», è la denuncia dell’agenzia Onu per i rifugiati. «Continuiamo a sforzarci di raggiungere le aree duramente colpite per fornire assistenza – spiegano dall’Acnur – e continuiamo a chiedere la protezione dei civili e delle infrastrutture civili, il rispetto del diritto umanitario e che i Paesi vicini continuino a mantenere i loro confini aperti per coloro che fuggono».

Confini che intanto Kiev ha definitivamente chiuso con la Transnistria. Ieri alcune mezzi con grandi bracci meccanici hanno costruito un muro di cemento armato nei posti di frontiera. L’agenzia Tass ha fatto sapere che vi sarebbe stato un nuovo tentativo di distruggere le antenne della radio in Transnistria, sempre a Mayak, dove già la settimana scorsa alcune esplosioni avevano colpito tre dei sette tralicci. Le forze di sicurezza locali – questa la versione ufficiale – hanno neutralizzato in piena notte un drone carico di esplosivo. Da tempo Tiraspol cerca un pretesto per legittimare un intervento di Mosca a difesa dei filo-russi.

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