domenica 3 luglio 2022
Odessa è quel posto dove le bombe cadono, gli artisti dipingono, e dopo la colazione tra i roseti e il mare, c’è chi si dirige verso il fronte canticchiando John Lennon
Odessa non è l'Ucraina ma l'Ucraina è Odessa

Ansa

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Odessa è quel posto dove le bombe cadono, gli artisti dipingono, e dopo la colazione tra i roseti e il mare, c’è chi si dirige verso il fronte canticchiando John Lennon. Odessa non è l’Ucraina, ma l’Ucraina è Odessa. La guerra è anche guerra di contraddizioni, per chi si affretta a giudicarle senza essere mai passato dalle macerie di un condomino che a vederlo adesso nessuno lo immaginerebbe di dieci piani.

E senza essere mai stati sulle trincee più avanzate, dove l’artiglieria trasforma i campi coltivati in un paesaggio lunare, laddove a fianco a fianco combattono lo studente che ti parla di Hanna Arendt e di cosa direbbe di Putin, e l’esaltato che spara a qualsiasi cosa gli sembri un nemico. Al quinto mese di conflitto, il morale dovrebbe essere ai minimi. Invece tra le vie bombardate di Mykolaiv e nei villaggi in pericolo lungo l’estuario del Dnestr l’umore è quello del primo giorno: «Gloria all’Ucraina, morte ai russi». Isaac, il ragazzo ebreo che degli ebrei ucraini sa tutto, racconta di aver chiesto al rabbino se poteva combattere anche di sabato. Non vuole riferirci la risposta.

Ma anche ieri Isaac era al fronte e tornando ha citato un altro Isaac, quel Babel che attraverso i “Racconti di Odessa” ci ha consegnato su pagine a volte dure e altre poetiche lo spirito della città dalle mille leggende. «Io piango per le api. Le api vengono sterminate dagli eserciti in guerra», scriveva Babel, citato a memoria dal giovane Isaac, che per andare e venire dal turno di artiglieria su Kherson deve attraversare proprio i vasti campi di grano, i frutteti e i noceti, preda essi stessi di questa guerra.

«Le persone in Ucraina stanno affrontando un’altra escalation, con il numero di attacchi aerei e il conseguente impatto sui civili in aumento, anche in aree che non erano state precedentemente colpite dalla guerra», dice l’Ufficio Onu per il coordinamento umanitario a Kiev. È l’esatta immagine degli ultimi sette giorni di colpi e contraccolpi. Il 25 giugno, viene fatto notare, è stato registrato un numero record «di oltre 50 razzi lanciati in un solo giorno».

Almeno 6 elicotteri hanno sparato 12 missili da crociera «presumibilmente dal territorio della Bielorussia proprio il 25 giugno – aggiungono dalle Nazioni Unite –, nel primo attacco di questo tipo dall’inizio dell’invasione». Non ce ne sarebbe stato da bisogno in una guerra tradizionale.

Perché dopo quattro mesi di smisurati attacchi sui civili, chi è disarmato e ne ha la possibilità certamente se ne sarebbe andato. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), quasi 6,28 milioni di persone, il 14 per cento della popolazione del Paese, sono sfollate dalle proprie abitazioni ma sono rimaste in Ucraina. Mentre aumenta il flusso di quanti rientrano dall’estero. E se la guerra continua, vuol dire che la gente, per un verso, si rassegna a conviverci e, per l’altro, non rinuncia alla possibilità di prendervi parte.

Per agosto, è annunciata una mobilitazione generale. In vista del lungo autunno e di un altro duro inverno sui campi di battaglia, serviranno forze fresche. E piaccia o no, è con questa ostinata volontà di resistere che bisogna fare i conti. Mosca lo ha capito più tardi di altri, e adesso alza il tiro. Per fiaccare i civili che non se ne vanno, liberando le città dalla loro presenza e rendendo più rapido il passo dell’invasore, viene impedito alle agenzie umanitarie di intervenire.

Oppure, come è successo a Mykolaiv, vengono distrutti i luoghi di raccolta del cibo, dell’acqua, dei beni di prima necessità. «I partner umanitari – denuncia ancora l’Onu – non possono fornire aiuti o sostenere eventuali evacuazioni di civili a causa delle ostilità attive, anche in luoghi critici come Kherson, Sievierdonetsk e altre aree dell’oblast di Luhanska, mentre le persone a Mariupol (conquistata dai russi dopo mesi di brutale assedio, ndr) hanno ricevuto un sostegno molto limitato dagli attori locali». L’accesso all’acqua e all’assistenza sanitaria «rimane preoccupantemente limitato. La mancanza di energia elettrica resta a un livello allarmante». Sembrano i resoconti di una guerra finita. Quando si contano i morti e bisogna ricostruire. Sono, invece, la realtà di un conflitto nel quale il morale degli aggrediti resta l’arma che l’aggressore non aveva messo nel conto.

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