sabato 26 marzo 2022
In divisa smistano gli aiuti. Non tutte le madri fuggono: chi resta lo fa per stare accanto ai genitori e alla famiglia Elena si sposerà tra pochi giorni
La quotidianità a Odessa è segnata anche dalle armi

La quotidianità a Odessa è segnata anche dalle armi - Imagoeconomica

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È mattina presto, uno dei centri di raccolta e smistamento dei generi alimentari di Odessa, situato a pochi passi dal mare – incastrato tra palazzi sollevati alle spalle di un parco giochi chiamato “Arcadia” – è pieno di voci femminili. Nelle madri ucraine scorre tutta la vita del mondo mentre vengono a prendere latte, pannolini, e altri beni destinati ai loro figli.

«Non tutte le madri sono uscite dal Paese – spiega Julia, la responsabile del centro – non tutte possono farlo né tutte vogliono farlo. Ci sono donne che stanno aiutando i genitori anziani, i mariti al fronte, anche donne che vogliono combattere, certo». Julia fuma una sigaretta dopo l’altra, è nervosa, mentre parla con i giornalisti fatica a nascondere l’ansia, a gestire il peso che le opprime il torace, come dice spesso. È circondata da uomini che obbediscono a ogni sua indicazione senza fiatare. Eppure, ogni suo gesto è materno. Non ha bisogno di imporsi, le basta uno sguardo, un tono chiaro. Solo in mattinata il municipio le ha inviato 1.500 nominativi di persone che richiedono attenzione.

Il Comune fa affidamento su di lei per coordinare diversi livelli di aiuto. Si occupa di nuclei familiari che non hanno di che mangiare, non hanno vestiti, medicine, non possono comunicare coi familiari. I centri in cui vengono smistati gli aiuti sono un termometro affidabile per valutare la situazione concreta di una porzione di territorio ucraino. Quando arriva Natasha, con l’uniforme militare cucita con le sue stesse mani, come spiega poi, e un filo di trucco sugli occhi, Julia sorride. Sono amiche. Natasha racconta che si è arruolata da qualche giorno, una delle poche ad aver fatto questa scelta. È una volontaria di “Terr Oborona”, la milizia di difesa territoriale costituita per lo più da civili. Natasha e Julia sono due volti e due storie che mostrano, almeno in parte, cosa significhi qui essere donna e essere madre. Entrambe hanno figli al fronte.

Per entrambe la ferita della guerra è una chiamata a generare il bene in una terra violata dal conflitto, e attraversata da una retorica militarista che martella russi e ucraini spaccando in due le anime, prima di tutto. Non è facile strappare Natasha al suo linguaggio partigiano. Sembra non le appartenga, ma fatica a svincolarsi da una grammatica che in tanti stanno imparando da zero. Dopo diverse ore appare la donna dietro il soldato, finalmente. E l’uniforme le resta sul corpo come un dettaglio che dice poco, in realtà, di lei. È madre, prima di tutto. Questo però lo rivela – lei come le altre – con grande imbarazzo.

Gli uomini, con la loro stupida competitività, si ha spesso l’impressione che debbano dar prova del proprio valore prima di ragionare su quanto sta accadendo, e rifiutarlo. L’accoglienza, la cura, il dono di sé che queste donne esprimono comunque, nonostante i fucili nel bagagliaio: come un primitivo gesto da genitrice che nel segreto delle viscere concepisce il nuovo, sembra ancora l’unica alternativa possibile allo spettacolo osceno dell’esaltazione bellicista che si registra ovunque.

Ma anche in queste donne qualcosa è spezzato, non si può negarlo. La terza a venirci incontro è Nasta (Anastasia) che ha sviluppato un’App per mettere in contatto le persone che vogliono lasciare l’Ucraina, facendo incontrare chi parte e chi vuole partire, ma non ha un’auto. Nasta ha un inglese molto approssimativo, ma si riesce a comunicare a gesti. Ci carica in macchina per portarci a conoscere un’altra donna, un’altra militare come Natasha.

È meno rigida Elena e si sente libera di raccontare cosa e come vive una donna nell’esercito. «È ingiusto tutto quello che stiamo vivendo – dice – ma tutto ciò che spero, adesso, è che finisca presto». Si sposerà tra qualche giorno, lo hanno deciso con il fidanzato poco prima del 24 febbraio. Finita la guerra sognano una vita diversa. Vorrebbero aprire un ristorante, magari.

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