giovedì 3 febbraio 2011
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Infuria la battaglia fra le due fazioni nel centro del Cairo, si spegne la speranze di una «transizione» quasi pacifica. Il rais non cede, ma nemmeno la Casa Bianca. In sole 24 ore l’appello di Barack Obama a un passaggio di mano immediato da parte di Hosni Mubarak si trasforma in un ordine unito e in una denuncia di responsabilità dirette dell’esecutivo negli scontri. In Egitto «ogni violenza istigata dal governo deve cessare immediatamente», tuonava il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs mentre giungevano i primi bilanci sulle vittime in piazza Tahrir. In Egitto «è imperativo per noi che la transizione sia immediata» ribadiva. Il futuro dell’Egitto «è nelle mani del popolo egiziano», concludeva il portavoce Robert Gibbs.La richiesta dell’altra notte di Barak Obama non aveva meritato che poche parole di risposta da parte di un portavoce del ministero degli Esteri egiziano: «Respingiamo la richiesta arrivata dall’estero circa un periodo di transizione che cominci immediatamente». Appelli, per il ministero degli Esteri egiziano con cui «si cerca di infiammare la situazione interna». Una replica secca che isolava e metteva in rotta di collisione l’esecutivo del Cairo con Washington. In serata però una telefonata del segretario di stato americano Hillary Clinton al vicepresidente egiziano Omar Suleiman, ha ribadito che, secondo gli Usa, «la transizione deve iniziare subito». Un braccio di ferro iniziato quando la battaglia in piazza Tahrir non era ancora scoppiata in tutta la sua violenza. Ammutolivano subito, però, i tanti che auspicavano un pacifico epilogo delle proteste, grazie a una repentina uscita di scena dell’anziano Mubarak. L’ultimo a chiedere «risposte urgenti» era stato l’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton. Un passo avanti rispetto alle cautele di lunedì dei ministri degli Esteri, una premessa a una posizione più decisa dell’Unione Europea venerdì, in occasione del vertice dei capi di stato e di governo dei Ventisette.Nel pomeriggio, toni e sfumature diverse, ma una sola richiesta dalle cancellerie occidentali: «Transizione rapida». Un pressing a sostegno della presa di posizione della Casa Bianca che accomunava il presidente francese Nicolas Sarkozy, il premier britannico David Cameron, il ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle e persino il premier turco Tayyip Erdogan. Attivo pure il ministro degli Esteri Franco Frattini che aveva un lungo colloquio telefonico prima con il vice-presidente egiziano Suleiman e poi con il sottosegretario statunitense Burns. Pure il premier Silvio Berlusconi auspicava un «passaggio» verso un nuovo regime «indolore». Solo il ministro russo Sergej Lavrov manteneva un giudizio equidistante fra la piazza e il governo del Cairo.Inutile dunque il colloquio di mezz’ora fra il presidente egiziano e Obama dell’altra notte. «Anche il presidente Mubarak ha riconosciuto che lo status quo non è sostenibile e che serve un cambiamento», aveva affermato Obama in diretta tv quando in Medio Oriente erano le tre di notte. Una voce contro Mubarak si è levata anche dall’interno del governo. Il ministro delle Antichità egizie, Nouraddin Adbulsamad, ha dichiarato che il presidente deve dimettersi se non vuole «ridurre in cenere tutto». L’auspicato «capitolo nuovo» per l’Egitto sembra da ieri dover passare per la guerriglia urbana e lo scontro militare fra i sostenitori di Mubarak e le opposizioni. Intanto il ministro degli Esteri britannico, William Hague sgombra il campo dalle indiscrezioni succedutesi nei giorni scorsi sulla  presenza a Londra di Gamal Mubarak, secondogenito e delfino del presidente egiziano. «Gamal è in Egitto», ha dichiarato il capo del Foreign Office spiegando di aver parlato direttamente con lui «avvertendolo che sarebbe un disastro per l’Egitto e per l’attuale governo se emergesse che le violenze di questi giorni sono state fomentate dallo Stato».
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