giovedì 19 maggio 2011
Obama inaugura la nuova diplomazia: la repressione ha fallito, è l’ora della pace. A due anni dall’intervento al Cairo, il presidente ha posto gli Usa al fianco di chi sta lottando per maggiore libertà nella regione. Promessi due miliardi di dollari all’Egitto. Hamas dovrà riconoscere e accettare lo Stato ebraico.
- Tra aria nuova e aria fritta di Luigi Geninazzi
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Israele «freddo» sui confini. Hamas: discorso schierato
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L’obiettivo principale degli Stati Uniti in Medio Oriente è la promozione della democrazia e di riforme. Barack Obama ieri ha aperto una nuova pagina nella politica estera americana, che coniughi gli interessi statunitensi di sicurezza e antiterrorismo in Medio Oriente con l’autodeterminazione dei suoi popoli. In un discorso diretto soprattutto ai dimostranti arabi, il presidente Usa ha anche indicato nei confini del 1967 – «con scambi consensuali di terreni» – e nel riconoscimento di Israele da parte di Hamas la sua “road map” per nuovi negoziati in Palestina.A due anni dal suo primo intervento rivolto al mondo musulmano dal Cairo e a tre settimane dall’uccisione di Osama Benladen, il presidente Usa ha risposto a chi dubita sulla sua determinazione di appoggiare la «primavera dei gelsomini» annunciando che l’America si opporrà all’uso della violenza contro chi protesta e userà la sua influenza per incoraggiare riforme nella regione. «Ci troviamo di fronte a un’opportunità storica – ha detto dal dipartimento di Stato a Washington – abbiamo la possibilità di dimostrare che l’America considera la dignità di un venditore ambulante più del potere di un dittatore». Non si tratta della “dottrina Obama” che molti aspettavano, perché il capo della Casa Bianca ha rivendicato la necessità della sua Amministrazione di considerare ogni caso a se stante. Ma è di certo un messaggio forte: se un governo apre alla democrazia avrà il completo supporto degli Stati Uniti, sia politico che economico. A un «Egitto democratico», ad esempio, Obama ha promesso due miliardi di dollari, fra debiti condonati e prestiti. E iniziative per incoraggiare investimenti privati in tutta la regione. Un messaggio scomodo per i governi autocratici di alcuni alleati americani, come Arabia Saudita e Bahrain. O per il presidente siriano Assad, che per la prima volta si è sentito porre chiaramente dall’Amministrazione Usa la scelta che ha di fronte: «Deve smettere di reprimere la protesta e aprire a una transizione democratica, oppure può farsi da parte». Un ultimatum che il discorso del leader statunitense estende implicitamente a tutti i capi di Stato della regione: aprite alla democrazia o uscite di scena. «Due leader se ne sono andati – ha detto Obama – altri potrebbero seguirli».Il capo della Casa Bianca. in un breve passaggio, ha poi promesso che l’America monitorerà sul fatto che le libertà conquistate grazie alle proteste siano applicate a tutti, soprattutto alle minoranze religiose e alle donne: «L’America si adopererà affinché tutte le fedi vengano rispettate. Perché questa stagione di cambiamento abbia la possibilità di aver successo, i cristiani copti devono avere il diritto di praticare liberamente la loro fede al Cairo e gli sciiti non devono vedere le loro moschee distrutte in Bahrain».Quanto al conflitto israelo-palestinese, Obama ha chiesto a Israele di avere il coraggio di concedere ai palestinesi i confini del 1967. Il presidente ha così abbracciato la posizione palestinese il giorno prima di una visita alla Casa Bianca del premier israeliano Benjamin Netanyahu e alla vigilia di un suo discorso all’Aipac, la principale associazione ebraica Usa. Dai palestinesi Obama però si aspetta che non rivendichino unilateralmente il riconoscimento del loro Stato all’Onu il prossimo settembre. E che dopo l’accordo fra Fatah e Hamas chiariscano senza incertezze la loro volontà di riconoscere il diritto di Israele ad esistere. «Nelle prossime settimane i leader palestinesi devono fornire una risposta credibile a questa domanda», ha detto Obama. Nel frattempo i dimostranti in Medio Oriente staranno a guardare per capire come si concretizza la promessa che «l’America è fermamente dalla loro parte».
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