martedì 5 febbraio 2013
​Il colosso del rating è accusato dalla Casa Bianca di aver deliberatamente sopravvalutato alcuni titoli immobiliari, contribuendo alla crisi dei mutui nel 2008.
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​La crisi finanziaria del 2008 potrebbe costare cara al colosso americano del rating Standard & Poor’s. L’amministrazione Usa ha infatti intentato causa all’agenzia e alla sua controllante McGraw Hill sostenendo che abbiano deliberatamente «gonfiato» i giudizi sui loro prodotti finanziari garantiti da mutui immobiliari, contribuendo pertanto alla bolla che ha scatenato la crisi. La Casa Bianca ha perciò chiesto un maxi-risarcimento di 5 miliardi di dollari. «Per metterla in termini semplici, la presunta condotta è emblematica», ha sottolineato il ministro americano alla Giustizia, Eric Holder, spiegando che l’azione legale contro Standard & Poor’s «è un importante passo avanti nello sforzo investigativo» del governo «volto a punire le condotte che si ritiene abbiano contribuito alla peggiore crisi economica della storia recente». Questo spiegherebbe pertanto la richiesta di danni altrettanto «esemplare», che potrebbe persino aumentare.I procuratori generali di 16 stati Usa, oltre al Distretto di Columbia, hanno infatti già aderito alla causa e, come già si ventila da alcune parti, altri potrebbero decidere di unirsi. New York pensa poi di presentare un’azione separata e l’organo di controllo del mercato, Securities and Exchange Commission, sta indagando su una possibile infrazione da parte dell’agenzia statunitense. Al centro della questione sono i generosi giudizi sui prodotti, che li avrebbero fatti apparire ben più sicuri di quanto non fossero in realtà. Ciò avrebbe contribuito alla costruzione di un "castello di carte" che, al suo crollo, ha trascinato con sè il sistema finanziario e l’economia americana.L’agenzia di rating si è immediatamente difesa dall’azione presentata nella tarda serata di lunedì al tribunale federale di Los Angeles, sostenendo che «l’accusa di aver deliberatamente mantenuto alti i rating sapendo che avrebbero dovuto essere più bassi, è semplicemente falsa». Non solo: secondo S&P, il governo avrebbe scelto con cura email interne per dare l’errata impressione di un’attività illegale da parte di alcuni analisti. Il governo sostiene infatti che, tra il settembre 2004 e l’ottobre 2008, S&P abbia emesso giudizi su titoli immobiliari valutati 2.800 miliardi e su altri prodotti relativi del valore di 1.200 miliardi. L’accusa riversata contro i "giudici" del mercato americano è che l’interesse dell’agenzia fosse in realtà rivolto verso le banche d’affari e non verso gli investitori. In una comunicazione elettronica, poi, il capo della divisione titoli immobiliari di S&P avrebbe proposto un incontro tra colleghi per discutere una modifica dei criteri utilizzati, in seguito alla «continua minaccia della perdita di affari». Questa accusa è la prima del suo genere da parte dell’amministrazione americana contro un’agenzia di rating, di solito immune da questo tipo di responsabilità in base alla protezione offerta dal primo emendamento della Costituzione sulla libertà di parola. Come ha infatti sottolineato il legale della società, Floyd Abrams, «i rating emessi erano considerati validi dagli analisti in questione e sta al governo dimostrare il contrario». Sebbene il caso – che non coinvolge direttamente alcun dipendente di Standard & Poor’s – si presenti assai complicato, potrebbe non essere che l’inizio e presto, altre società del settore, come Moody’s e Fitch, potrebbero ricevere la stessa ingiunzione da parte di Barack Obama. Non solo: il presidente americano appare fortemente intenzionato ad andare fino in fondo anche nella riforma di Wall Street, nonostante le fortissime resistenze. Lo dimostra anche la recente scelta di aver messo a capo della Sec (la Consob americana) un ex procuratore, proprio allo scopo di garantire che le nuove regole nel settore finanziario vengano realmente attuate e applicate.
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