venerdì 26 marzo 2021
Di fronte al picco dei contagi, Delhi ferma la cessione del farmaco AstraZeneca prodotto su licenza e diretto ai Paesi poveri attraverso il consorzio. «In Africa casi in aumento del 30 per cento»
Vaccinazioni in corso in un ospedale dello Zimbabwe

Vaccinazioni in corso in un ospedale dello Zimbabwe - Ansa

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Nella «guerra» globale dei vaccini anti-Covid, il bene oggi più prezioso in grado non solo di salvare vite umane ma anche economie prostrate da un anno di blocchi forzati, l’India scrive una nuova dolorosa pagina. Al culmine di un’ondata record di contagi interni, New Delhi ha sospeso l’esportazione di dosi AstraZeneca prodotte su licenza dal Serum Institute of India (Sii), il produttore di vaccini più grande al mondo, mettendo in grave difficoltà non solo Paesi ricchi come il Regno Unito, ma soprattutto decine di Paesi a basso reddito, che proprio da quell’istituto avrebbero dovuto ricevere le fiale anti-Covid messe a disposizione gratuitamente dal programma Covax. «Non ci sarà esportazione, niente fino a che la situazione in India non si stabilizzerà», hanno rivelato fonti a conoscenza del dossier.

Al momento, però, è tutto fermo, un dramma se si pensa che, in un continente come l’Africa che conta 1,3 miliardi di abitanti, finora solo una trentina di Paesi ha ricevuto da Covax circa 15 milioni di dosi, con le vaccinazioni effettuate che non superano quota 5,7 milioni. Se già a questi ritmi gli analisti prevedano possano volerci anni per raggiungere l’immunità di gregge – con il rischio anche che insorgano nuove varianti da «esportazione» –, stop come quello indiano, che fa seguito all’accaparramento selvaggio dei vaccini da parte dei Paesi ricchi, rischiano di far saltare del tutto le già lente campagne vaccinali del Sud del mondo. A partire dal 20 gennaio l’India ha esportato quasi 60 milioni di dosi di vaccini anti-coronavirus in 74 diversi Paesi, 17,7 milioni delle quali a favore di Covax. Lo stop all’export era in qualche modo annunciato: il 17 marzo il ministro della Salute aveva già detto in Parlamento che le esportazioni dei vaccini non avrebbero dovuto penalizzare le esigenze interne e che si sarebbe cercato un equilibrio tra il rispetto dei contratti già siglati, sia commerciali che umanitari, e le necessità del Paese. L’India sta affrontando una preoccupante crescita giornaliera di nuovi positivi e un forte rallentamento nella campagna di vaccinazione interna. Nelle ultime 24 ore i contagi sono stati 53.476, il maggiore aumento giornaliero rilevato dal 23 ottobre, mentre i nuovi decessi sono stati 251, per un totale di 160.692 vittime dall’inizio della pandemia.

Il Serum institute ha già rinviato la spedizione del vaccino AstraZeneca a Paesi come Brasile, Regno Unito, Marocco e Arabia Saudita. Le autorità britanniche sono in contatto con New Delhi per ricevere la seconda tranche di 5 milioni di dosi ordinate. Ma sono i Paesi a basso reddito, di fatto senza grandi alternative a parte i vaccini gratuiti messi a loro disposizione dal programma Covax – co-guidato dall’Oms, dalla Gavi vaccine alliance e dalla Coalition for Epidemic Preparedness Innovations –, a rischiare di più. L’iniziativa prevede la distribuzione di 238,3 milioni di dosi in 142 Paesi poveri entro fine maggio (e di 2 miliardi di dosi entro fine anno), con Pakistan, Nigeria e Indonesia tra i maggiori destinatari. Con il Serum institute indiano l’accordo prevede la fornitura di 1,1 miliardi di dosi di vaccino AstraZeneca e Novavax.

Nei giorni scorsi il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, è tornato a insistere che il crescente divario tra il numero di vaccini somministrati nei Paesi ricchi e in quelli poveri sta diventando «più grottesco ogni giorno». «L’iniqua distribuzione dei vaccini – tema su cui è intervenuto più volte anche papa Francesco – non è solo un oltraggio morale, è anche economicamente ed epidemiologicamente controproducente», ha sottolineato Tedros. Da parte loro Oxfam ed Emergency hanno fatto appello all’Ue perché chieda alle aziende farmaceutiche di sospendere i monopoli sui brevetti dei vaccini. In Africa la seconda ondata di contagi sta colpendo più duramente, con un aumento dei casi, secondo uno studio di The Lancet, del 30%. Nonostante ciò i Paesi del continente hanno decretato in questa fase meno restrizioni sanitarie. Un combinato disposto che, a fronte di una vaccinazione che tarda a carburare, difficilmente potrà portare a qualcosa di buono.

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