venerdì 13 maggio 2016
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«Non è stato un golpe, perché è stata rispettata la procedura giuridica prevista. Ci sono pochi dubbi, però, che l’impeachment sia stato quantomeno una forzatura. Si è rotto un equilibrio, provocando un forte degrado istituzionale ». Leonardo Avritzer, analista dell’Università federale del Minas Gerais e ricercatore del Wilson Center, specializzato negli studi sulla democrazia, è convinto che si apra un periodo di profonda incertezza politica, economica e sociale. «Solo una cosa è chiara: l’impeachment non mette fine alla crisi», afferma il docente. Anzi, per certi aspetti, l’instabilità è destinata ad aumentare ulteriormente nei prossimi mesi. Perché ne è convinto? Il voto in Senato pone termine a un ciclo di espansione del Partido dos trabalhadores (Pt). Questo è evidente. Non lo è, però, la possibile alternativa. Il nuovo presidente, Michel Temer, appartiene al Partido do movimento democrático brasileiro (Pmdb), di centro, che ha governato in coalizione con la sinistra e con la destra. La formazione è ampiamente coinvolta negli scandali di mazzette, come tutto l’arco politico. Dal punto di vista della lotta alla corruzione, dunque, l’ascesa del Pmdb non rappresenta una soluzione. Lo è per il rilancio dell’economia? Nessuno può dirlo, al momento. È necessario vedere come il sistema produttivo reagirà all’instabilità attuale. E dal punto di vista politico? Il governo Temer mi sembra alquanto fragile. Per ora ha un cauto sostegno della finanza e del Congresso. Non so, però, per quanto riuscirà a mantenerli. Potrebbe sfaldarsi in breve. Vi è, poi, una seconda questione. Il via libera al giudizio per Rousseff si è configurato come un processo istituzionale atipico. L’accusa di aver manipolato i bilanci – il cosiddetto “crimine di responsabilità” – è ambigua, dal punto di vista giuridico. Si tratta di una prassi ampiamente utilizzata non solo dai precedenti capi di Stato ma anche dai governatori. Ora, la “sospensione” della presidente eletta rafforza o indebolisce l’architettura istituzionale brasiliana? La nostra è una democrazia giovane – la dittatura militare è terminata nel 1985 – ma di relativo successo grazie alla costruzione di un complesso equilibrio di poteri. Che si è conservato per 31 anni. Almeno fino a ieri. Non vorrei che gli ultimi fatti l’avessero incrinato. Qualcuno ha evocato il fantasma del 1964, l’anno del golpe militare... Da allora è trascorso oltre mezzo secolo. Ora non vedo il rischio che i generali instaurino un regime. Mi preoccupa, però, un eccessivo protagonismo del potere giudiziario e della polizia. Una riforma del sistema delle forze di sicurezza è da tempo una nota dolente in Brasile. Qualcuno ipotizza anche il rischio dell’eliminazione dei programmi sociali creati negli ultimi 13 anni. Nel breve periodo mi sembra improbabile. La piazza si rivolterebbe. Nel medio e lungo, però, non mi sento di escludere tale ipotesi. L’élite finanziaria preme in modo palese in tal senso. Ci sono possibilità che Rousseff ritorni alla presidenza fra sei mesi? Tutto può accadere. Mai come in questo momento, ogni opzione è sul tavolo. La considero, però, una probabilità remota. La cosa più probabile è che si vada a nuove elezioni nel giro di qualche mese. E chi le vincerebbe? Anche in questo caso, non è facile fare previsioni. Al momento Lula, Marina Silva e Aecio Neves (per il quale la Corte Suprema ha appena dato il via libera a un’indagine per corruzione e riciclaggio, ndr) dominano i sondaggi. Lula? Ma non era finito il ciclo del Pt? Si è conclusa l’epoca della sua egemonia. Questo non esclude, però, che il leader storico del Pt potrebbe tornare al governo. Lula sarebbe, però, costretto a negoziare. Pratica, del resto, in cui è molto abile. Nel mirino del Congresso c’è soprattutto la politica dell’ultimo triennio del Pt, caratterizzata da una certa rigidità. Ora, il prossimo presidente dovrà per forza mediare. Lucia Capuzzi © RIPRODUZIONE RISERVATA Il professor Leonardo Avritzer
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