sabato 14 maggio 2022
Olexandr Chokov cappellano della 35ª brigata della Marina di Kiev. Era sull’Isola dei Serpenti, conquistata da Mosca nel primo giorno di conflitto
Una chiesa ortodossa in Ucraina con un militare russo

Una chiesa ortodossa in Ucraina con un militare russo - Ansa

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Quando il calcio del fucile gli ha quasi sfondato le tempie, padre Alexander è stramazzato a terra. Ha solo avuto il tempo di domandare al soldato russo: «Perché picchiate anche i preti?». La dura prigionia dei pope ortodossi ucraini è uno dei capitoli più crudi di questa guerra. Olexandr Chokov è cappellano della 35ª brigata della Marina di Kiev. Era sull’Isola dei Serpenti, conquistata da Mosca nel primo giorno di conflitto. Quando gli incursori russi presero d’assalto la scogliera al largo di Odessa non pensavano di trovare anima viva nel fortino ucraino su cui erano di stanza 13 soldati e il loro cappellano.

Dopo l’attacco russo la parte ucraina aveva annunciato la morte delle guardie di frontiera. A quel punto i cappellani Oleksandr Chokov, Vasyl Vyrozub e Leonid Bolgarov con il medico Ivan Tarasenko salgono a bordo della nave di soccorso Sapphire per riportare a casa le spoglie dei caduti. Appena nei pressi dell’isola, l’intero equipaggio viene fatto prigioniero dai marines russi. Padre Oleksandr racconta che tutti gli arrestati sono stati rinchiusi in una cella, senza distinzione tra religiosi e militari combattenti. «Abbiamo ricordato ai russi che non si devono colpire i sacerdoti perché secondo la Convenzione di Ginevra un cappellano può seguire i suoi militari, i prigionieri di guerra, essere loro d’aiuto in qualche modo e invece i russi sono in guerra anche con gli uomini di Dio».

Durante gli interrogatori il religioso ha provato a far ragionare i militari di Mosca. Ma non c’è stato verso. È stato tenuto a lungo in ginocchio. «Una volta quando non riuscivo più a stare in quella posiziono, sono caduto, volevo rialzarmi e il soldato mi ha colpito, bastonandomi con la sua mitragliatrice dall’alto». È in quel momento che ha capito che la speranza non è ancora morta. «Perché stai picchiando un prete?», gli ha domandato. «In qualche modo questo lo ha riportato in sé. E poi mi ha dato una mano, mi ha sostenuto, e mi ha messo in ginocchio. Infine ci hanno accompagnato dentro una tenda e ci hanno permesso di riscaldarci».

Gli interrogatori però sono proseguiti. Prima li hanno condotti nel centro di detenzione preventiva a “Stary Oskil” in Russia, non lontano dal confine ucraino con la regione del Donbass. Le domande degli ufficiali erano politicizzate, poco interessati a notizie militari. Ad esempio, hanno chiesto cosa ne pensassero della lingua russa. «Ho risposto loro in russo», ricorda padre Olexander. «Ho spiegato loro che in Ucraina non c’è nessuno che vuole abolire l’uso del russo, ma ogni Stato ha il diritto alla propria lingua, alla propria storia, alla propria cultura». Dalle reazioni dei soldati di Mosca, il pope ha tratto un convincimento: «Non vedono l’Ucraina come uno Stato, ma come parte della terra russa. Quando parli con loro, reagiscono con aggressività. Non vieni torturato perché hai qualche informazione da dargli e che nascondi. Ti picchiano perché sei ucraino».

«Siamo stati mandati in un campo di prigionia da qualche parte vicino a Kharkiv», nel territorio ucraino che le forze russe e i separatisti stanno tentando di strappare a Kiev ma che di nuovo ieri ha visto un ripiegamento dei russi. C’è una cosa che però mandava in bestia gli ufficiali durante le sessioni di interrogatorio. «Erano sconvolti dal fatto che i sacerdoti dei patriarcati di Mosca e Kiev, pur separati, non coltivassero inimicizie».

Lo scisma interno al patriarcato di Mosca, da cui una parte della Chiesa ortodossa ucraina si è dichiarata autonoma, non ha infatti pregiudicato le relazioni tra i preti. E questo, per chi crede di combattere per la “nuova Russia” è semplicemente inconcepibile. Il calvario di padre Olexandr si è concluso pochi giorni fa, quando sono arrivati i delegati della Croce rossa internazionale a concludere uno scambio di prigionieri. «È stata un’esperienza scioccante: imprigionati, torturati, umiliati. Ancora mi domando come possa accadere tutto questo».

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