mercoledì 17 aprile 2019
Guillaume Goubert: «Quando ho visto quel fuoco, ho sentito che stava bruciando la casa comune. E che quindi, in questo Paese secolarizzato, scorre un sentimento antico»
«Notre-Dame non è un 11 settembre»
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«Questo non è il nostro 11 settembre». Se è vero che i giornalisti cercano sempre un titolo, questo è il cuore dell’intervista con il direttore de La Croix, il quotidiano cattolico francese. Guillaume Goubert ci racconta come ha vissuto gli istanti drammatici dell’incendio di Notre-Dame e guarda avanti: chiede ai francesi di «essere positivi» perché 'dobbiamo ricostruire una cattedrale'. E riscoprire le radici cristiane del Paese.

Le fiamme, il fumo su Parigi e il pianto della Nazione: cos’è successo in redazione quand’è caduta la grande guglia?
Ero davanti alla tv perché stavo organizzando le pagine del giornale. Ho ho sentito montare un’emozione immensa nel Paese. Telefonate, una grandine: parenti e amici, lettori, mentre Macron annullava il suo discorso alla Nazione: gli era impossibile parlare in quel momento.

Da credente, cos’ha provato?
Che le radici cristiane della Francia erano ancora vive, che per i francesi ciò che stava bruciando non era l’Opera di Parigi o il centro Pompidou, ma qualcosa di molto più importante, la casa comune. Con le lacrime tornava a scorrere un sentimento antico: in un Paese secolarizzato, le radici cristiane erano rimaste là e in quell’istante vibravano, fortemente. Le stesse sensazioni provate quand’è stato assassinato padre Jacques Hamel.

L’Apocalisse all’ora del Tg: una cattedrale medievale che brucia in diretta mondiale è un monito a convertirsi?
Sicuramente possiamo leggervi un monito a convertirci e, andando oltre l’ambito della fede, a risvegliarci. Ma questo non è il nostro 11 settembre: la struttura della chiesa ha resistito e noi non dobbiamo sentirci abbattuti, io non mi sento abbattuto. C’è stato un incendio drammatico e ora c’è una cattedrale da ricostruire: questa è anche una sfida formidabile e una responsabilità straordinaria per la nostra generazione. Ci viene affidata la rinascita della cattedrale di Parigi.

Ricostruirla com’era e dov’era oppure rinnovarla?
La sfida culturale è quella di fare una cattedrale per il nostro secolo, di non limitarci a una replica, un pezzo da museo: serve una cattedrale vivente per le generazioni future. Non mi aspetto una ricostruzione «com’era e dov’era» anche perché spero che un giorno si possa notare che la nostra generazione ha portato il proprio contributo alla crescita di Notre Dame, com’è stato per tutte le cattedrali: ogni generazione, una dopo l’altra, mette una pietra.

“La Croix” oggi parla di «incuria collettiva » perché per troppo tempo Notre-Dame è stata abbandonata: è un fallimento per lo Stato francese?
Certamente. Il patrimonio monumentale francese non è sufficientemente difeso e finanziato, e ciò non riguarda solo le chiese, anche se la situazione dell’edilizia religiosa è più delicata perché c’è sempre una pretesa di fondo dello Stato che la Chiesa provveda per prima e questo conduce in qualche caso allo stallo dei cantieri.

Il restauro costava 150 milioni ma se ne erano trovati solo due. Oggi, ce ne sono centinaia. Perché i soldi si trovano solo se la bellezza crolla?
È tristemente umano. Si arriva tardi e costerà di più. Tuttavia, non abbandoniamoci alle polemiche e non perdiamo l’occasione di tradurre quest’ondata emotiva, che è un vero sentimento nazionale di vicinanza reciproca, in un atteggiamento positivo: in questo momento bisogna aiutare i francesi a guardare in faccia la loro Storia e anche per aiutarli a riscoprire come questa Storia sia profondamente intrisa di cattolicesimo.

L’incendio colpisce una Chiesa provata dagli scandali e una società scristianizzata e disorientata: davvero lo choc può risvegliare l’anima?
Non sfugge a nessuno che la Chiesa attraversi un periodo molto difficile, in Francia come altrove, e questo incendio può aiutarci a ricordare che nella vita della Chiesa ci sono cose che vanno al di là delle debolezze umane. San Paolo scrive ai Corinzi «questo tesoro lo portiamo in vasi d’argilla» e la cattedrale è in fondo un grande vaso d’argilla: molti francesi si sono resi conto che questa chiesa rappresenta molto di più delle sue pietre e che incarna qualcosa di misteriosamente prezioso. Lo ha fatto capire bene Sibeth Ndiaye, la portavoce del governo. Questa donna che non è nata in Francia ci ha detto semplicemente «Non è solo un monumento, è NOTRE Dame», con «notre» scritto in maiuscolo. Nostra, come nostra è la casa in cui viviamo.

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