sabato 16 luglio 2016
​24ore dopo la strage nei locali del lungomare, teatro delle 84 morti, si torna lentamente alla normalità. (Giorgio Ferrari, inviato a Nizza). FOTO E VIDEO  Mondo sotto choc: 84 morti
Sulla Promenade tra rabbia e paura
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​I fiori sono tutto ciò che la gente ha potuto offrire. Fiori, candele, orsetti di peluche appesi alle transenne, una lunga ghirlanda votiva che si estende per i quasi due chilometri degli sbarramenti che delimitano la Promenade des Anglais, ancora sigillata e chiusa alla maggior parte del pubblico a ventiquattro ore dall’orribile strage. Il conto delle vittime è concluso, i morti hanno un nome, i feriti, i sopravvissuti ora piangono, pregano, guardano il cielo. Piccoli gruppi di persone si radunano in capannelli nelle vie adiacenti la Promenade. In Place Massena, in rue de France sciama un’umanità ancora attonita ma che inevitabilmente – ed è sempre con stupore che ad ogni strage, ad ogni catastrofe che reclama un pesante conto in vite umane ce ne rendiamo conto – ricomincia a vivere. Nei locali in cui soltanto un giorno prima si ricoveravano terrorizzate centinaia di persone, in quelle pizzerie, in quei pub, in quei ristoranti che avevano fatto da scudo alla marea di uomini, donne e bambini in fuga dal mattatoio della Promenade, si riprendeva a sorridere, a cenare sotto il cielo, a cercare di dimenticare che soltanto un giorno prima, proprio a quell’ora, si scatenava l’inferno. La chiesa di Saint Philippe e Saint Pierre d'Arene è rimasta aperta tutta la notte per accogliere chi fuggiva alla follia omicida. Sul sagrato c’è ancora scritto: "Espace de prière pour les victimes". Qualcuno, poco distante dalla fermata del tram, intona la Marsigliese. Un canto solitario, con una nota lugubre, nessun accenno trionfale. Non c’è niente da festeggiare oggi a Nizza, c’è solo il tentativo collettivo di ricoprire l’orrore con la pietà, lo stato di eccezione con una misurata normalità. E forse, per quanto possibile, dimenticare in fretta: dimenticare la fuga disordinata di migliaia di uomini, donne, bambini, molti dei quali si sono gettati in mare per sfuggire al camion assassino, perdendosi, cercandosi, ritrovandosi. «Non so, non saprei raccontare quello che ho visto, farei di tutto per cancellarmelo dalla memoria», dice Mirella, torinese a Nizza per una breve vacanza. «Vorrei dimenticare tutto, cancellare l’immagine di quel tir che mi è passato davanti, ma non posso, non ci riuscirò mai», dice Alina, seduta al tavolino di un bar di avenue Medecin. Gabriel, il suo fidanzato, è più duro: «Vorrei guardare in faccia l’assassino. Peccato sia già morto...». Difficile, in queste ore, resistere al comprensibile rancore, alla furia che segretamente contamina e pervade ogni cuore di fronte alla barbarie. Ed è questo lo scoglio più arduo da superare per chi ha visto, chi è sopravvissuto, chi ha perduto una persona cara, un amico, un compagno. La prima notte di quiete è sempre la più dura.
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