giovedì 4 ottobre 2018
Crolla l'economia, basta stragi nelle piazze. Il governo vieta le manifestazioni. Arresti e licenziamenti per fiaccare l'opposizione.
Studente protesta fuori dalla Università centroamericana di Managua, Ansa

Studente protesta fuori dalla Università centroamericana di Managua, Ansa

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Per la prima volta, la festa di Masaya s’è svolta senza l’ospite d’onore. La statua di San Geronimo, patrono della città, è rimasta chiusa nell’omonima chiesa, mancando la processione più famosa del Nicaragua. Il parroco, padre José Espinoza, ha deciso di celebrare la ricorrenza in «un’atmosfera di preghiera, raccoglimento e sobrietà» per rispetto al lutto collettivo. Masaya, luogo di nascita dell’eroe César Augusto Sandino, è il bastione della resistenza al governo di Daniel Ortega. Proprio come durante dittatura dei Somoza. Anche se, stavolta, al potere c’è un partito che si autodefinisce “sandinista”.

La sfida è costata alla cittadina a sud di Managua un pesante tributo di sangue: dei 326 morti accertati dalla Corte interamericana per i diritti umani (Cindh), 36 sono di qui. La gran parte è stata uccisa dalla polizia e dalle “turbas”, i paramilitari orteguisti, durante “l’operazione pulizia” di luglio. E, nel silenzio ufficiale, la repressione continua. «Menzogne», ripete il presidente che, in omaggio alla “normalità”, ha organizzato una “processione parallela”, con tanto di “controfigura”, ovvero una replica della statua originaria. Questa è passata per le strade circondata da agenti in tenuta antisommossa. Ma la gente ripeteva, a mezza voce: «San Geronimo ha fatto sciopero anche per noi che non possiamo più farlo».

Da venerdì scorso, un comunicato della polizia vieta le marce contro il governo, pena l’arresto e l’imputazione per sedizione. A quasi sei mesi dall’inizio della peggior crisi dalla rivoluzione anti-Somoza, la repressione – affermano gli osservatori della Cindh – è entrata in una nuova fase. Meno palese ma più efficiente. Mantenere una cappa di “quiete apparente” è vitale per Ortega, ansioso di rassicurare gli investitori internazionali: la crisi è già costata 347mila posti di lavoro e 400 milioni di dollari di perdite solo nel turismo. Dal primo ottobre, secondo il Centro de desarrollo empresarial, il Paese è in recessione. La persecuzione, dunque, s’è fatta “selettiva”. «Assistiamo al passaggio da uno stato di diritto a uno stato di eccezione permanente», ha affermato Paulo Abrão, segretario della Cindh. Gli attacchi indiscriminati da parte delle “turbas” ai dimostranti, sono stati sostituiti da blitz notturni nelle case degli oppositori. Il Centro nicaraguense per i diritti umani (Cenidh) denuncia retate quotidiane. In una delle ultime, lo scorso fine settimana, è stata catturata la78enne Coquito – come viene chiamata Miriam del Socorro Matus, la venditrice d’acqua divenuta icona della “rivolta” per aver donato a maggio, l’incasso quotidiano – due dollari – ai dimostranti. La donna ha detto di essere stata malmenata: la pressione dell’opinione pubblica, poi, ne ha forzato il rilascio. Da aprile, sono stati arrestati – senza ordine del giudice – in centinaia per aver partecipato alle marce: secondo gli attivisti, almeno trecento sarebbero tuttora detenuti. Di questi 136 sono accusati di «terrorismo».

La legge 977, che punisce la sedizione, viene impiegata sistematicamente come «arma» contro gli oppositori. Lo ha riconosciuto lo stesso Joel Hernández, esperto della Cindh, incaricato di scrivere un rapporto sui fermati. Hernández ha denunciato l’impossibilità di accedere alle prigioni a causa del diniego delle autorità. L’esperto ha, però, raccolto numerose testimonianze di sevizie e abusi sugli incarcerati nonché di impiego eccessivo della forza nell’effettuare gli arresti. A questi, si sommano i licenziamenti mirati: quasi 400 medici “colpevoli” di aver curato i manifestanti feriti sono stati cacciati senza liquidazione.Dall’Università autonoma di Managua – bastione della protesta – sono stati espulsi 80 studenti e 40 docenti. La Chiesa locale, in prima linea nella difesa dei diritti umani, ha espresso preoccupazione per la situazione.

E il cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, ha rivolto un forte appello a mettere fine alla violenza e a riprendere il dialogo, fermo da giugno. Sulla stessa linea, l’Onu e ora l’Ue. Ortega, però, sembra deciso a tirare dritto.

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