lunedì 29 giugno 2020
Per aggirare le restrizioni hanno innovato rotte e strategie, riducendo gli invii e aumentando le quantità come dimostrano i recenti maxisequestri. L'Onu: la recessione rfavorisce il crimine
Neanche il Covid arresta i narcos: il traffico di droga non conosce la crisi
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L’hanno sparpagliata in quasi duemila sacchi, accuratamente mescolata ai granuli di gomma. Dora, però, non è facile da ingannare. Non si è arresa nemmeno quando i primi due test hanno dato esito negativo. È rimasta imperterrita di fronte alla stiva. Fino a quando gli agenti hanno chiesto un ultimo esame. E, stavolta, Dora, una cagnetta nera, piccola quanto determinata, ha avuto ragione. Il cargo in partenza dal porto colombiano di Buenaventura trasportava una montagna di cocaina. Quasi cinque tonnellate dirette in Turchia e, da lì, in Europa. Il maxi-sequestro è avvenuto il 9 giugno. All’epoca, la Colombia usciva al rallentatore da oltre due mesi di lockdown che avevano arrestato l’economia. Con una vistosa eccezione: l’industria del narcotraffico. Tra gennaio e giugno, la polizia ha intercettato oltre 182 tonnellate di cocaina, l’8 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno prece- dente.

Un incremento simile è stato registrato nei luoghi di destinazione della polvere bianca, sia nei porti Usa – più 8 per cento – sia in quelli del Vecchio Continente, come confermano l’Agenzia europea anti-droga (Emcdda) ed Europol. Non è solo la coca a non essere andata in quarantena. Il mercato della droga al tempo del Covid è in espansione. E, nell’immediato futuro potrebbe crescere ulteriormente, ha avvertito l’Unodc, l’Agenzia Onu contro la droga. È già accaduto con il crack del 2008: l’economia illegale assorbe la manodopera espulsa dal sistema. Mentre la recessione offre ghiotte opportunità di riciclaggio. Stavolta – allertano le Nazioni Unite – potrebbe andare peggio date le proporzioni della recessione incombente. Le premesse non sono incoraggianti. La narco-industria si è rivelata abile nel-l’adattarsi al nuovo corso, trovando rotte e strategie alternative per eludere le restrizioni alla circolazione globale. Certo, coltivazione e confezione ne hanno risentito. Soprattutto in Perù dove, secondo l’Unodc, il prezzo della foglia di coca è crollato del 46 per cento a causa della contrazione della domanda dei gruppi criminali, impossibilitati a prelevarla e esportarla a causa del più rigido lockdown del Continente. Negli altri due “grandi produttori” – Colombia e Bolivia –, però, il colpo è stato più contenuto. E ovunque i narcos lo hanno affrontato ricorrendo alle scorte accumulate per i momenti di crisi, come conferma un recente studio dell’intelligence di Bogotà. Per quanto riguarda l’eroina, la pandemia ha rischiato di far saltare la stagione del raccolto (marzo-giugno) in Afghanistan, da cui provengono il 95 per cento degli oppiacei. La chiusura dei confini con il Pakistan, alla fine di marzo, ha privato i campi di papaveri dell’usuale manodopera di braccianti immigrati. L’inconveniente non ha fermato i “signori della droga”. I quali hanno aumentato di un terzo i salari e reclutato in massa i disoccupati del Covid.

Uomini ma soprattutto donne, stremate per l’incremento dei prezzi del cibo di oltre il 20 per cento. Mentre la vendita al dettaglio si è spostata sul dark Web, a subire gli stravolgimenti maggiori è stato il traffico internazionale. Il blocco delle frontiere ha ridisegnato la mappa dei viaggi degli stupefacenti dai luoghi di provenienza a quelli di smercio, distanti centinaia di migliaia di chilometri. Per raggiungere i fiorenti mercati Usa e europeo, la cocaina latinoamericana ha dovuto rinunciare agli aerei, ormai a terra. Per rifornire gli States, i narcos hanno potenziato la rotta terrestre attraverso il poroso confine tra Colombia e Panama, più lenta e farraginosa ma anche più sicura. E sostituito lance e pescherecci con sommergibili e cargo commerciali, immuni al virus della quarantena. «Per ottimizzare le risorse, i trafficanti hanno diminuito la frequenza e aumentato la quantità dei carichi », spiega la Drug enforcement agency (Dea), l’Agenzia anti-droga Usa. Questo vale forse ancor più per l’Europa, come dimostrano i recenti maxisequestri: 14 tonnellate in Spagna tra marzo e aprile, sei volte la quantità scoperta nello stesso periodo del 2019, altre 18 tonnellate in Belgio – sei in più dell’anno scorso –, 4,5 in Olanda, secondo Europol. L’eroina afghana continua a fluire nel mercato Ue attraverso le rotte balcanica e caucasica. Per compensare il blocco dei confini, i trafficanti hanno anche consolidato, però, “la via meridionale” che si snoda lungo l’oceano Indiano e l’Africa.

Negli Stati Uniti, nel frattempo, l’oppio arriva con regolarità dal Messico. Il Covid ha comunque spinto i narcos a puntare sulla “filiera corta”, cioè sulle droghe sintetiche producibili già nei Paesi di consumo. Da qui il moltiplicarsi di laboratori di metanfetamine in Usa e nell’Ue. Nonché di chimici inviati dai gruppi messicani come “consulenti”. Il costo delle innovazioni, tanto, viene scaricato sui consumatori, con l’aumento di un terzo del prezzo per dose. La domanda resta comunque alta. Anzi, con gli sconquassi post- pandemia, rischia di salire ancora.

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