giovedì 28 settembre 2023
Gli indipendentisti si arrendono: dal primo gennaio la repubblica autoproclamata non esisterà più e sarà parte dell'Azerbaigian
Il grande esodo degli armeni ha più che dimezzato la popolazione del Nagorno-Karabakh

Il grande esodo degli armeni ha più che dimezzato la popolazione del Nagorno-Karabakh - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

È salito a 170 morti il bilancio delle vittime dell'esplosione di lunedì in un deposito di carburante nella regione del Nagorno-Karabakh, il cui territorio è stato riconquistato dall'Azerbaigian in seguito all'offensiva militare della settimana scorsa. Lo ha reso noto l'Artsakh Rescue Service del Nagorno-Karabakh, precisando su Facebook che finora sono stati recuperati 170 corpi e che i resti saranno trasferiti in Armenia per l'identificazione.

«Stepanakert addio». Il capoluogo dell’enclave armena dell’Azerbaigian non sarà più capitale di uno Stato che non c’è. L’annuncio del presidente Samvel Shakhramanian equivale alla più umiliante delle rese: «Tutti gli organi statali e le organizzazioni che dipendono da loro devono essere sciolti entro il 1 gennaio 2024 e la repubblica del Nagorno-Karabakh (Artsakh) cessa di esistere».

Un colpo di spugna a più di 30 anni di irredentismo costati tre guerre e 200mila vittime da quando – dissoltasi l’Urss – gli armeni dell’”Artsakh” si rifiutarono di far parte dell’Azerbaigian con l’appoggio della madre patria Armenia e la protezione di Mosca.

Tutto come evaporato in 48 ore di “quasi guerra” la scorsa settimana e, soprattutto, di rivoluzione diplomatica: Mosca non ha sostenuto l’intervento armato armeno ma mediato per una fulminea pace. Ancora da decifrare i nuovi assetti nel Caucaso – reazione a catena della crisi fra Mosca e Kiev – ma in Armenia sono già 88mila i profughi scappati dalla regione contesa che fino a 72 ore fa contava 120mila membri della minoranza cristiana.

Un colpo di spugna che lascia senza parole le diplomazie mentre si profila di ora in ora più chiara la tragedia umanitaria. L’alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi esprime «profonda preoccupazione» e chiede l’invio di convogli umanitari.

L’Armenia, scaricata dalla Russia dopo le forti tensioni per la condanna di Erevan della guerra in Ucraina, e per questo non in grado di intervenire militarmente la scorsa settimana, ora lancia disperati appelli a un Occidente ancora troppo lontano dal Caucaso. «Nei prossimi giorni non ci sarà più alcun armeno nel Nagorno-Karabakh. Questo è un atto di «pulizia etnica» accusa il premier armeno Nikol Pashinyan.

Valgono a poco le rassicurazioni dell’ambasciatore azero in Gran Bretagna secondo cui il suo Paese non sta incoraggiando nessuno a lasciare il suo Paese.

L’affermazione del Cremlino secondo cui «non esiste una ragione immediata e diretta per tali azioni» sembra un via libera per Baku, a condizione che a chi vuole andarsene «siano garantite condizioni di vita normali». Intanto, con una visita nella città di Jabrail, solo nel 2020 ripresa alle forze armene, il presidente Aliyev celebra la piena restaurazione dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian.

Nuovi confini da rimarcare, e vecchi conti che ora si possono regolare. L’ex premier del Nagorno-Karabath, arrestato mercoledì mentre cercava di fuggire in Armenia, è ora in custodia cautelare con le pesanti accuse di «finanziamento del terrorismo», «creazione di gruppi o gruppi armati illegali» e «attraversamento illegale del confine». Rischia fino a 14 anni di reclusione. Una sorte simile dovrebbe riguardare l’ex ministro degli Esteri dei separatisti armeni David Babayan, che ha annunciato di volersi consegnare alle autorità azere: «Sapete tutti che sono nella lista nera dell’Azerbaigian e la parte azera ha chiesto il mio arrivo a Baku per le indagini pertinenti».

Vecchi conti che ora si possono regolare nell’enclave e vecchie alleanze nel Caucaso che non reggono più. Mosca «prende atto» della dissoluzione del Nagorno-Karabath e fa sapere che «monitora con attenzione la situazione». La priorità è l’«aspetto umanitario», non quello politico. Ma poi, l’affondo del portavoce Peskov è quasi un ben servito a Erevan: la decisione dell'Armenia di aderire allo Statuto di Roma, che ha dato vita alla Corte penale internazionale, è un atto «estremamente ostile». Una telefonata del ministro degli Esteri turco Fidan al collega Armeno Mirzoyan è un primo contatto dopo gli anni e forse l’avvio di una mediazione. Gli Usa fanno sapere di lavorare per una missione internazionale di monitoraggio. Intanto a migliaia anche questa notte saluteranno Stepanakert.

In 75mila sono partiti in tutta fretta per l'Armenia

In 75mila sono partiti in tutta fretta per l'Armenia - Reuters

Le tappe:

1. La secessione

Il Nagorno-Karabakh, regione caucasica a maggioranza armena, è da sempre contesa tra Armenia e Azerbagian. L’Urss l’aveva dichiarata parte di quest'ultimo, una delle Repubbliche socialiste del gigante sovietico. Nella zona, però, è sempre stato forte un movimento separatista vicino a Erevan. Con lo scioglimento dell’Unione Sovietica, dunque, nel settembre 1991, il Nagorno-Karabakh si è autoproclamato Repubblica indipendente con il nome armeno di Artsakh, cioè «terra boscosa».

2. Guerra congelata

La secessione ha causato una guerra, il cosiddetto primo conflitto del Nagorno-Karabakh, durato tra il gennaio 1992 e il maggio 1994, nel quale sono oltre 30mila persone. In centinaia di migliaia sono stati costretti a fuggire. Lo scontro si è concluso con un cessate il fuoco mediato da Mosca che ha garantito ai separatisti un corridoio con l’Armenia. Negli anni successivi, tuttavia, il conflitto è riesploso ciclicamente. Le due deflagrazioni più forti si sono verificate nel 2016 e nel 2020.

3. L’ombra di Mosca e Ankara

Sul Nagorno-Karabakh si allungano da sempre le ombre della Russia e della Turchia. Mosca, storica alleata di Erevan, si è assunta il ruolo di protettrice della comunità armena. Proprio per vigilare sull’applicazione del nuovo cessate il fuoco, dopo il conflitto del 2020, il Cremlino ha dispiegato duemila “truppe di pace”. Ankara, al contrario, sostiene gli interessi del governo azero. Quest’ultimo, però, è riuscito ad allargare le proprie simpatie, Europa inclusa, raddoppiando le forniture di gas.

4. «L’operazione anti-terrorismo» di Baku

Il 19 settembre, le forze armate azere hanno bombardato pesantemente il Nagorno-Karabakh e poi hanno avviato un’azione di terra per prendere il controllo delle postazioni secessioniste. Baku ha definito l’attacco «un’operazione anti-terrorismo», per smantellare gruppi armati separatisti accusati di piazzare mine sul territorio e uccidere i civili. Per colpire, in ogni caso, l’Azerbagian ha scelto il momento di massima tensione tra Mosca e Erevan, dopo la scelta di quest’ultima di inviare aiuti a Kiev.

5. L’esodo armeno

Di fronte all’offensiva azera, è cominciato un esodo massiccio di armeni dal Nagorno-Karabakh. In dieci giorni, oltre 75mila persone –  ovvero oltre la metà degli abitanti – hanno abbandonato la regione per cercare rifugio in Armenia, nonostante le rassicurazioni di Baku che i diritti della comunità sarebbero stati garantiti indipendentemente dalle sorti dell’autoproclamata repubblica. Erevan ha parlato di pulizia etnica ma l’Azerbagian nega di fomentare le partenze.

6. Lo scioglimento

Incapaci di far fronte all’attacco azero, gli indipendentisti hanno accettato lo scioglimento dell’autoproclamata Repubblica. L’Artsakh cesserà la propria esistenza dal primo gennaio, a 32 anni dalla nascita formale. Il presidente azero, Ilham Alyev si è recato nell’enclave, a Jabrayil, per dimostrare l’effettivo controllo del territorio. Il leader ha ribadito che i cittadini comuni non verranno perseguiti ma si è scagliato contro i dirigenti separatisti, più volte accusati di «sostenere il terrorismo».

La comunità internazionale si è detta preoccupata per lo sfollamento ma Baku nega di alimentare le partenze degli armeni

La comunità internazionale si è detta preoccupata per lo sfollamento ma Baku nega di alimentare le partenze degli armeni - Ansa


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI