mercoledì 29 aprile 2015
Con lui l'omonima azienda dei pneumatici fece il grande salto internazionale. Riproponiamo un'intervista rilasciata ad Avvenire nel 2003 in occasione del Meeting di Rimini.
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Si è spento all'età di 89 anni l'industriale francese François Michelin, nipote del fondatore dell'omonima azienda di pneumatici e numero uno della società per oltre 45 anni, fino al 1999. Lo riferisce una nota del gruppo. Sotto la sua gestione, Michelin ha realizzato la parte più rilevante della sua crescita, ampliando il suo portafoglio prodotti e la sua presenza geografica, in particolare con l'apertura della prima fabbrica negli Stati Uniti, e diventando uno dei leader mondiali nel settore. Laureato in matematica alla facoltà di Scienze di Parigi entrò in fabbrica nel 1951, a 25 anni, iniziando con alcuni stage come operaio, nel settore commerciale e in quello della ricerca, prima di diventare responsabile di un'unità di produzione. Nel 1955, a 29 anni, venne nominato garante degli stabilimenti Michelin. Poi, sull'onda del rivoluzione del «radiale» nei pneumatici, riuscì a guidare l'azienda verso una dimensione mondiale, con una grande propensione all'innovazione. Dopo il 1999 divenne presidente onorario dell'omonimo gruppo. Riproponiamo un'intervista a François Michelin, realizzata da Angelo Picariello al Meeting di Rimini, pubblicata da Avvenire il 27 agosto 2003 «Non c'è dipendente o padrone, ognuno dipende dall'altro, in fabbrica, e tutti insieme dipendiamo dagli altri fattori, dalla materia prima innanzitutto. Chi l'ha detto che un imprenditore li dà solo, gli ordini? Li riceve anche. Anzi, senza gli ordini dei clienti la fabbrica chiude». Si resta incantati ad ascoltare questo 77enne imprenditore di successo che parla di cristianesimo applicato all'impresa. Di denaro che non porta dritto all'inferno, di un modello di rapporti economici che non soltanto è più giusto, ma funziona anche meglio. E a ogni passaggio, François Michelin, l'anziano magnate dei pneumatici, sembra ripetere il titolo del libro con cui racconta la sua vita (E perché no?, edito da Marietti). È una continua apertura, la sua, non «sgomma» e non frena, si potrebbe dire, Michelin, davanti alle domande incalzanti dei giovani del Meeting, ma ripete pacato la sua verità applicata: «Ognuno di noi è unico e irripetibile. In ogni uomo c'è come un diamante, che dobbiamo poter scoprire insieme. Pensate - racconta -, l'uomo che ci ha consentito la scoperta più prodigiosa, quella del "radiale", nel 1945, era stato assunto inizialmente come tipografo per la stamperia, ma l'ufficio personale si accorse che aveva altre propensioni, soprattutto una grande immaginazione. E anche i grandi progressi sui materiali non sarebbero stati possibili se l'operaio non avesse imparato ad essere "dipendente" dal prodotto chimico che doveva lavorare. Ognuno di noi desidera essere trattato come una persona. Come quel fagotto che madre Teresa vide un giorno a Calcutta, e scoprì che era una donna morente, in strada. Che le rispose, proprio in punto di morte, di essersi sentita per la prima volta trattata da essere umano». Eppure l'esperienza dei rapporti di lavoro spesso è tutt'altro: contrasti, gelosie. «È per via delle etichette che ci attribuiamo - risponde Michelin-. Un giorno a un funerale incontrai un sindacalista in pensione. E ci siamo detti l'un l'altro: "Quante cose avremmo potuto fare insieme..."». Ma a suo avviso si può essere felici, sul posto di lavoro? «Bisognerebbe girare la domanda a un disoccupato. Ma, a parte le battute, credo che l'origine di tutto stia nel peccato originale. In quella risposta di Adamo che accusa Eva, mentre avrebbe con umiltà potuto ammettere di aver peccato, confidando nella Misericordia di Dio. Certo, spesso sul lavoro c'è la fatica di vedere le cose che non vanno come vorremmo noi, e questo ferisce il nostro orgoglio. Ma nel rapporto con le persone dovrebbe prevalere l'umiltà, provando a capire le intenzioni dell'altro. Vede, gli altri dirigenti hanno il loro ufficio a Parigi, io preferisco averlo in fabbrica, a contatto con la catena di montaggio. E quelle volte che ti verrebbe la voglia di mollare tutto mi basta guardare le donne e uomini che lavorano per capire che ne vale ancora la pena». La fede cristiana l'ha aiutata? «Mi sono confrontato con la dottrina marxista, e con la filosofia. Ma il marxismo alla fine conduce al gulag, alla socializzazione dell'educazione, senza più capi o responsabili. Rousseau invece dice che l'uomo nasce buono, ma poi si perde per strada. Soltanto il cristianesimo ci dà la capacità di mettere le cose sempre in positivo, nella consapevolezza che la Croce è la strada che porta alla Risurrezione. Questa è la sua vera forza, il magistero della Chiesa e i Vangeli ci danno poi le "istruzioni per l'uso", mostrandoci di volta in volta la strada per la misericordia. La cosa più importante è però "acchiappare" il tempo che Dio ci dà. Se in media due ore al giorno le impieghiamo per mangiare, ci vuole del tempo anche per consentire a Dio di "nutrirci". Con i Salmi, con i sacramenti, col silenzio. Nella consapevolezza che senza di Lui, come ci ha rivelato, non possiamo far nulla. E, anche in fabbrica, la comunione con gli uomini è possibile solo attraverso la comunione con Dio». Una curiosità: lei ha mai licenziato qualcuno? «Se si scopre che una persona non mostra le competenze necessarie, o crea un danno all'azienda, la scelta giusta è convocarlo, dire che non va bene, ma ridandogli fiducia. Se poi le cose non cambiano a quel punto è lui che si autoesclude». Ma in un'epoca di finanzieri che comprano e rivendono aziende c'è ancora spazio per un modello di imprenditore che vive accanto ai suoi operai? (Resta in silenzio per un po') «Anche il silenzio è una risposta. Domanda difficile. Come tutti sbagliamo, può sbagliare anche il finanziere. Ma se si guarda ai volumi della Borsa e della speculazione si vede che dopotutto non sono così rilevanti. Ci sono comunque finanzieri che hanno a cuore la vita dell'impresa e altri no. Ma il denaro, e anche i finanzieri, sono importantissimi per sviluppare un'impresa». Vuol dire che anche il ricco può entrare nella cruna di un ago? (Nuovo silenzio) «Il ricco di cui parla il Vangelo non è soltanto quello di denaro. Ma anche il grande musicista, o il bravo giornalista che si sente padrone del suo talento. Il denaro è uno strumento prodigioso per lo sviluppo umano. Sì, ci sono speculatori, ma nessuno di noi è perfetto. E ci sono anche finanzieri che guardano lontano, al futuro, allo sviluppo. Si torna al punto. Serve una luce in grado di illuminare tutti gli aspetti della vita e il lavoro che facciamo. E quella luce è il Vangelo».
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