mercoledì 9 marzo 2022
Già la chiamano «Little Ucraina». Mai si erano viste parcheggiate così tante auto con la sigla «UA». Tra i profughi c’è chi resta qui perché non ha i soldi sufficienti per spingersi verso l’Ue
Prrofughi ucraini nella stazione ferroviaria di Chisinau, capitale della Moldavia, per raggiungere la Romania. Una delle tappe  del lungo esodo

Prrofughi ucraini nella stazione ferroviaria di Chisinau, capitale della Moldavia, per raggiungere la Romania. Una delle tappe del lungo esodo - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Già la chiamano «Little Ucraina». E non ci vuole molto a riconoscerla. Mai in Moldavia si erano viste parcheggiate così tante auto con la sigla «UA». Sono i fuggiaschi del confine accanto. Tracimati per mancanza di alternative a Chisinau. C’è chi aspetta che l’esercito russo se ne torni nella foresta bielorussa; c’è chi resta perché non ha i soldi sufficienti per spingersi verso l’Ue.

Le truppe di Mosca sono a 20 minuti di macchina, nella Transnistria che Chisinau non riconosce, ma da cui sarebbero partiti missili contro l’Ucraina. E da cui potrebbero muovere via terra per supportare l’imminente assedio di Odessa. A quel punto in Moldavia esploderebbe il panico: la prospettiva sarebbe quella di fare la fine di Kiev.

Appena più grande della Lombardia, e con meno della metà degli abitanti, la Moldavia è il Paese più povero d’Europa, ma nonostante le ristrettezze sta affrontando con generosità un’emergenza umanitaria senza precedenti. Gli oltre 100mila profughi arrivati (a cui va aggiunta la permanenza di alcuni giorni per altre decine di migliaia in transito e diretti verso Romania e Ungheria) sono uno tsunami.

L’ambasciatore italiano Lorenzo Tomassoni, parco di dichiarazioni ma epicentro della macchina italiana della solidarietà, è dappertutto. Con i volontari di Emergency, vicino alle parrocchie trasformate in centro d’accoglienza.

Il Vescovo Anton Cosa non ha mancato di esortare le comunità cattoliche nel Paese a pregare darsi da fare. E con una nota la diocesi di Chisinau ha espresso «sincera gratitudine nei confronti del popolo moldavo per la generosità e disponibilità che sta manifestando nell’accoglienza e vicinanza alle migliaia di profughi che giungono nel nostro paese».

In prima linea ci sono Caritas Moldova, Fondazione Regina Pacis, Fides, Casa della provvidenza, Optima fide, Fondazione don Bosco, Rinnovamento nello Spirito, Cammino neocatecumenale, parrocchie e comunità religiose. Anche i Testimoni di Geova hanno aperto le loro case per i profughi, terrorizzati dalla russificazione dell’Ucraina, e memori delle persecuzioni a loro riservate in quel di Mosca.

Dal primo istante sono state organizzate strutture di accoglienza in locali parrocchiali e negli “appartamenti sociali” che assicurano un tetto e il vitto per oltre 400 persone. La risposta delle famiglie moldave lascia a bocca aperta. Una rete familiare di solidarietà, dove singole famiglie si sono rese disponibili per l’accoglienza. «Vengono erogati anche servizi di accompagnamento all’arrivo in Moldavia presso le frontiere ed alla partenza per le destinazioni da loro preferite», spiega don Cesare Lodeserto, vicario della diocesi a cui il vescovo ha chiesto di fare da ponte tra ospitalità del mondo ecclesiale e istituzioni nazionali e internazionali.

Da subito è stata creata una rete di psicologi che accompagnano specialmente le donne e i bambini. Basta fare un giro dalle parti del posto di frontiera di Palanka, per rendersene conto. Il 65% dei profughi, spiegano le autorità di Chisinau, sono donne senza marito. Il 25% sono bambini. Il resto sono anziani e disabili. La premier Natalia Gavrilita ha detto che un bambino su otto presente nel Paese è oggi un rifugiato. Se il conflitto si prolungasse, bisognerà pensare a inserirli nelle scuole e organizzare per loro un sistema di inclusione a lungo termine.

Alle dogane si assiste ogni minuto alla triste negoziazione dei capifamiglia arrivati fin qui. Implorano le guardie ucraine di lasciarli passare. «Ho una famiglia, solo io lavoro, se mi ammazzano chi darà da mangiare ai miei bambini?», dice un uomo. La guardia è inflessibile: «C’è la legge marziale , dovrei arrestarti per essere venuto fino a qui. Abbiamo bisogno anche di te per vincere la guerra. Torna indietro», gli intima mentre la moglie e i due bambini si allontanano in lacrime.

C’è anche chi mette le mani in tasca e tira fuori tutto quello che ha, sperando che l’atavica corruzione di cui soffre l’Ucraina anche stavolta possa funzionare. Ma niente.

Qualcuno però riesce a ottenere il via libera. A condizione che abbia almeno tre figli. In questo caso le guardie chiudono un occhio.

«Non si ha una chiara conoscenza dei tempi dell’accoglienza e della durata del conflitto, ma sia ben chiaro che la Chiesa cattolica – ripetono dalla diocesi – con i suoi organismi sarà presente finché l’emergenza accoglienza sarà un dovere ed anche oltre per le famiglie che ne faranno richiesta».

Negli alberghi si registra il tutto esaurito. Ma c’è chi ne approfitta. Prima della guerra era possibile trovare camere per 40 euro a notte. Adesso, negli stessi hotel, quando si libera un letto viene offerto a cifre cinque volte superiori.

Molte donne ieri hanno trovato ad attenderli un mazzolino di fiori. La Giornata internazionale della donna è una sorta di festività nazionale. E a Chisinau gruppi di cittadini moldavi sono scesi in piazza per esprimere solidarietà alle ucraine. «Donne ucraine siete eroine», si legge su un cartello dei manifestanti. Ma anche le donne moldave, in questo momento, non sono da meno.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI