mercoledì 11 maggio 2016
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MANILA Il presidente filippino Rodrigo Duterte ha iniziato il mandato esattamente come aveva concluso la campagna elettorale: toni accesi, promesse choc e minacce molto esplicite rivolte a chi sgarrerà. Il nuovo capo di Stato, soprannominato non per nulla il giustiziere, il “Castigatore dei criminali”, ma anche, impropriamente, il “Trump asiatico”, ha annunciato che imporrà un coprifuoco dopo le 22 per i minori non accompagnati, vieterà la vendita di alcol dopo la mezzanotte e metterà al centro del suo mandato la lotta alla criminalità e alla corruzione, sull’esempio di quanto già accade a Davao, capitale dell’isola di Mindanao, metropoli sconfinata e amministrativamente autonoma che Duterte governa da più di 20 anni. Il presidente ha anche limitato la velocità delle auto a 40 chilometri all’ora e vietato il karaoke, «perché la notte si deve dormire e il giorno dopo tutti a lavorare». In compenso, il suo portavoce, Peter Lavina, ha fatto sapere in conferenza stampa che il neo-presidente ha intenzione di cercare il consenso nazionale per una revisione della Costituzione con l’obiettivo di creare un governo parlamentare e federale. La proposta di decentralizzare il potere da Manila si adatta alla linea di Duterte contro l’establishment del Paese, da lui definito autoreferenziale e corrotto. «Abbiano visto che il Paese non è cresciuto perché il potere e le risorse erano concentrate in un governo nazionale – ha spiegato Lavina –. Un sistema federale potrebbe concedere più autonomia ai governi regionali». Nel piano di Duterte, sotto il governo centrale resterebbero competenze come la difesa nazionale, l’immigrazione e il controllo delle frontiere. Ai governi locali spetterebbero funzioni come lo sviluppo economico, lo sviluppo sociale e l’istruzione. Avvocato, 71 anni, ex procuratore dal linguaggio colorito e modi poco ortodossi, con i suoi sproloqui e le promesse di soluzioni brutali ha sconvolto la politica delle Filippine: si è impegnato a far uccidere migliaia di criminali, a offrire la pace alla guerriglia comunista, a passare alla dittatura se il Parlamento non seguirà le sue indicazioni. Non a caso, i suoi oppositori hanno lanciato l’allarme sulla possibile deriva autoritaria, trent’anni dopo la cacciata di Ferdinando Marcos. ( R.E.) © RIPRODUZIONE RISERVATA
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