martedì 17 maggio 2016
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Oltre mille morti in un solo anno, 5.000 persone arrestate, 300.000 rifugiati in altri Paesi, gran parte dei giornalisti indipendenti in esilio: è questo il drammatico bilancio del Burundi dove, dopo la rielezione di Pierre Nkurunziza, nel 2015, al suo terzo mandato presidenziale, a dispetto della Costituzione che pone un limite di due, è in corso un conflitto fra il governo e la popolazione che sta mettendo a dura prova il fragile equilibrio del Paese, tra i più poveri al mondo. Per rompere il silenzio, nei giorni scorsi, a Roma, si è tenuto il convegno: «Burundi: che fare?», organizzato dall’associazione Bilsoc (Burundesi d’Italia per la Legalità e la Solidarietà). «Il terzo mandato di Nkurunziza è illegale. È una rivoluzione criminale», ha detto Léonidas Hatungimana, ex portavoce del presidente, in rottura con lui per la deriva autoritaria e ora in esilio in Tanzania. «Nkurunziza deve lasciare ma vogliamo una transizione pacifica », ha ribadito Amilcàr Ryumekò, burundese, emigrato in Canada. «Faremo di tutto per liberare le migliaia di giovani che marciscono nelle prigioni del Burundi», ha affermato Richard Spiros Hagabimana, colonnello nella Direzione Generale della Polizia, in esilio anche lui dopo essere stato messo in prigione per essersi rifiutato di sparare sui giovani manifestanti. Ospite d’onore, Marguerite Barankitse, presidente dell’associazione Maison Shalom, fonda- ta all’indomani del genocidio in Burundi (1993) per accogliere i bambini di tutte le etnie rimasti orfani. La donna, in prima linea nelle battaglie per i diritti civili, e per questo minacciata di morte da Nkurunziza, che ha spiccato anche un mandato di arresto internazionale contro di lei, vive in esilio in Ruanda da circa un anno. Come se non bastasse, il presidente ha bloccato i fondi di Maison Shalom, interrompendo tutte le attività della fondazione, comprese quelle dell’unico ospedale della regione di Ruyigi. Marguerite Barankitse ha chiesto l’invio di caschi blu per proteggere la popolazione e per prevenire una guerra civile. «Il rischio – ha detto – è che il conflitto politico degeneri in una guerra etnica tra hutu e tutsi. Il 60% della popolazione burundese ha tra i 18 e i 35 anni. Tutti questi giovani senza lavoro e senza speranze non hanno niente da perdere». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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