giovedì 6 settembre 2012
​Tra attese e diffidenze a Charlotte va in scena l’ex presidente. Dopo la performance impeccabile della first lady, la Convention si affida al predecessore. Che però spesso parla più dei suoi risultati che di quelli di Barack.
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​Dopo la performance impeccabile di Michelle Obama, la Convention democratica ieri ha cercato di non perdere il ritmo e di mantenere la stessa immagine di unità e di fiducia nel futuro che la first lady ha ispirato. Avendo bisogno di un altro oratore eccezionale, gli organizzatori della kermesse hanno affidato la seconda serata all’imprevedibile Bill Clinton, del quale alcuni strateghi di Barack Obama dubitano ancora la completa fedeltà al presidente. Il discorso dell’ex inquilino della Casa Bianca è rimasto misteriosamente segreto fino al momento della sua entrata in scena (la prima mattinata di oggi in Italia), suscitando qualche timore nei vertici del partito. Ma il passaggio del testimone generazionale era necessario alla coreografia dell’evento, calibrato per mostrare il volto compassionevole (non per calcolo ma per natura, come ha sottolineato la moglie) di un presidente che – e qui entra in gioco Clinton – ha saputo fare scelte coraggiose in un quadriennio difficile e ora sa come ricreare il periodo di prosperità e opportunità di cui l’America ha goduto con l’ultimo presidente democratico. Clinton, che ha il vizio di sottolineare i suoi risultati più ancora di quelli dell’ex rivale della moglie, ha anche il dono di riassumere concetti complessi in parole semplici, e serviva più che mai ai democratici per creare un legame emotivo con i lavoratori bianchi senza titolo di studio che non si identificano con l’intellettuale inquilino della Casa Bianca con quello strano nome. L’operazione di riportare Obama al livello delle famiglie americane, soprattutto di quelle della classe media, era già stato al cuore del discorso di Michelle che, per ammissione stessa degli analisti conservatori, ha fatto centro. Tanto da far parlare già di un possibile futuro politico alla Hillary per la moglie del capo di Stato. Barack è lo stesso che ha incendiato gli animi e commosso l’America quattro anni fa, ha assicurato la «mamma in capo», come ha detto di sentirsi la first lady. «Sa cos’è il sogno americano», ha spiegato. Le battaglie e gli ostacoli che lo hanno «messo alla prova in modi che non avrei mai potuto immaginare», non lo hanno cambiato, ha sottolineato, ma hanno rivelato chi realmente è: «Nel carattere, nei valori, nelle convinzioni e nel suo cuore, Barack è lo stesso uomo di cui mi sono innamorata 23 anni fa». Un quarto di secolo che non è stato una passeggiata per la prima famiglia d’America, di cui oggi è facile invidiare il successo, la fama, la bellezza e il denaro. Perché la giovane coppia è partita dal basso, da famiglie modeste, ha fatto debiti per andare all’università e oggi capisce che «quando qualcuno riesce a passare attraverso la porta dell’opportunità», non deve chiuderla dietro di sé, ma allungare la mano alle sua spalle e aiutare tutti gli altri che vogliono provare a farcela». Il presidente americano, che ieri è arrivato alla Convention in Nord Carolina, ha seguito il discorso della moglie dalla Casa Bianca, come la foto sapientemente mandata in rete dal fotografo ufficiale ha mostrato, cercando di «non piangere di fronte alle mie figlie».Michelle si è mantenuta super partes, evitando riferimenti agli avversari repubblicani, ma non una frecciata indiretta alla ricchezza dei Romney e alla piattaforma repubblicana che elimina molti programmi per gli indigenti: «Per Barack il successo non si misura in quanti soldi hai, ma nel segno che lasci nella vita degli altri». La first lady non ha però esitato ad abbracciare le posizioni più controverse del partito, come il matrimonio gay (ha sognato un Paese dove tutti hanno il diritto di presentarsi all’altare con la persona che amano) e l’aborto («mio marito dà fiducia alle donne quando si tratta della loro vita riproduttiva») – scelte tese ad animare la base liberal dalla quale la campagna ha bisogno. Non per garantirsene la simpatia, già assicurata, ma perché vada alle urne in gran numero e veda queste elezioni con lo stesso senso di «svolta epocale» che sentiva nel 2008.
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