lunedì 28 febbraio 2022
La bimba è nata in un rifugio allestito in una stazione. Sul web è già diventata un simbolo: «Mentre le granate rimbombano nel cielo stanno nascendo piccoli ucraini».
Mia, il simbolo nato sotto le bombe. Bimbi due volte vittime della guerra
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Avvolta in una copertina bianca, Mia dorme. Le minuscole dita strette a quelle della mamma con le unghie smaltate di rosa. Potrebbe sembrare l’immagine consueta di una nascita se non fosse per quelle persone infagottate che spuntano sul fondo della foto. Donne, ragazzi, bambini che, seduti, attendono l’alba per riemergere da sottoterra, nella speranza di trovare ancora la propria casa, il proprio quartiere, la propria città. Mia è nata in una notte di bombe, venuta al mondo venerdì sulla panca di uno dei rifugi antiaerei di Kiev da una giovane di 23 anni, presa alla sprovvista dalle doglie. Un medico anonimo, per caso nel bunker, l’ha aiutata. E, dopo il parto, l’agente Mykola Shlapak è riuscito a portare madre e piccola all’ospedale. Ma Mia non è “figlia della guerra”. È figlia della vita che combatte per non soccombere a quest’ultima e, a volte, vince. Mia è figlia dell’Ucraina che resiste a una geopolitica di morte, di armi, di disumanizzazione reciproca. La sua foto, pertanto, diffusa su Twitter da Hannah Hapko, portavoce del gruppo Democracy in Action, è diventata emblema di resilienza per il Paese. Migliaia e migliaia l’hanno rilanciata, condivisa, commentata. Hapko ha accompagnato la notizia con un appello alle madri russe perché scendano in piazza contro la guerra. Il volto di Mia e la scritta «Make Putin stop» sono ormai entrati nello scrigno di simboli da cui un popolo ferito dalla catastrofe – accade ogni volta – attinge per non rassegnarsi alla distruzione. Propria e altrui. Un po’ come i neosposi e miliziani, Yaryna Arieva e Sviatoslav Fursin. L’immagine della neonata nata a dispetto della pioggia di fuoco, però, è ancora più potente. Per questo, si sono moltiplicate

le storie di piccoli venuti al mondo in questi giorni di conflitto. Il ministro degli Esteri, Ivan Karol, ha raccontato sui social il parto della moglie Vikusya nel mezzo dell’offensiva. «Mia figlia è una stella che brilla nel buio di questo momento tanto difficile», ha scritto. E il titolare della Salute, Viktor Liashko, ha annunciato la nascita di due bimbi a Kherson: «La vita va avanti, diamo alla luce figli e nessuno può sconfiggerci». Dalla maternità di Dnipro, sono arrivati i video – autorizzati dai genitori – dei bimbi portati in braccio da medici e infermieri verso lo scantinato per metterli al sicuro dalle bombe. Là – ha raccontato uno dei dottori – è nato un piccolo. Quasi una “riparazione collettiva” per i bambini assassinati dalla guerra. Già quattro in meno di 72 ore. Almeno trentacinque sono stati feriti. Non si sa quanti siano i minori fra gli sfollati. È certo, però, che il trauma riguarderà un’intera generazione di bambini e adolescenti costretti a seppellirsi nei rifugi, a fuggire, ad assistere imponenti alla devastazione di interi pezzi di Paese e della propria normalità. Vittime due volte i piccoli, a cui viene strappata l’infanzia. A cui, insieme al presente, viene ipotecato il futuro.

Don Michailo Tchaban, salesiano, ha raccontato il terrore dei 65 orfani ospiti della casa Pokrova di Leopoli. «Stiamo nel sotterraneo perché ormai non riescono a dormire ai piani superiori», ha affermato. Gli operatori dell’Ong Soleterre hanno parlato del dramma di dover evacuare i piccoli pazienti oncologici da loro assistiti a Leopoli, Charvik, Dnipro e Kiev. «Nei prossimi mesi oltretutto saremo a corto di farmaci e attrezzature», hanno denunciato. Alle storie reali si sommano, come in ogni guerra, propaganda o rivelazioni impossibili da verificare. Come quella fatta dalla parlamentare, Verchovna Rada, secondo la quale gli aerei russi lancerebbero nella zona di Sumy, come nella celebre scena di Hunger games, giocattoli cellulari imbottiti di esplosivo. Vero o no, la sofferenza dei bimbi ucraini è reale. Realissima. In essa riecheggia il bruciante interrogativo di Ivan Karamazov: che senso ha il loro dolore? Uno scandalo a cui è impossibile rispondere. O meglio, come ha più volte detto papa Francesco, solo Dio può farlo.

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