giovedì 24 marzo 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
BRUXELLES Una cosa è certa: i terroristi si sentivano braccati, erano ansiosi, preoccupati di essere scoperti, avevano fretta di agire. Lo si è capito soprattutto dal “testamento” ritrovato nel computer di Ibrahim el-Bakraoui, scovato in un cestino dell’immondizia sulla strada nei pressi dell’appartamento della Rue Max Roos a Schaerbeek, in cui la polizia ha ritrovato ingenti quantità di esplosivo e da cui sono partiti i due fratelli Bakraoui. Come ha riferito il procuratore federale Frédéric Van Leeuw, l’uomo scrive di trovarsi «nella precipitazione », di «non sapere più che fare», di «non essere più in sicurezza », sentendosi «ricercato ovunque». L’uomo aveva chiaramente paura di essere arrestato, scrive che, «se si perde troppo tempo, si rischia di terminare a fianco a lui in una cella». Chi è il “lui” di cui parla Ibrahim nel suo testamento? Ibrahim non fa nomi, e nessuno saprà mai con certezza a chi si riferisse. Si possono al massimo fare delle congetture, molti analisti ipotizzano che il riferimento sia proprio Salah Abdeslam, arrestato il 18 marzo, che in un altro “testamento”, questa volta audio, sempre ritrovato nel compu-ter, Ibrahim e Khalid el- Bakraoui dicono di voler vendicare. Ma perché Ibrahim dice di non voler trovarsi in una cella «vicino a lui»? Altra domanda senza risposta. Il testamento del resto, sembra avvalorare la tesi del collegamento diretto tra gli attentati e l’arresto di Abdeslam, un collegamento che a dire il vero le stesse autorità avevano paventato giusto il giorno prima che si verificassero gli attacchi. Una situazione di pressione provocata proprio dalle perquisizioni a tappeto attivate dalla polizia la scorsa settimana a Forest e Molenbeek. Una pressione che sembra proprio aver spinto il commando ad accelerare i tempi nel timore di essere anch’essi scoperti prima di poter entrare in azione. Purtroppo con successo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Ibrahim el-Bakraoui (Ansa)
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: