martedì 27 giugno 2017
I resti di Salvador Ademe sono stati trovati nel Michoacán. Ero scomparso da maggio. Già 128 i reporter massacrati dal 2000. «Il governo non ci protegge»
Manifestazione contro gli omicidi di giornalisti in Michoacan, Epa

Manifestazione contro gli omicidi di giornalisti in Michoacan, Epa

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Il corpo carbonizzato di Salvador Adame è stato trovato sotto un ponte del Michoacán. E’ il settimo giornalista massacrato da marzo in Messico. Una strage silenziosa che si consuma ben lontana della capitale, nei fronti caldi della narco-guerra. Là – dove i diversi gruppi criminali si contendono il territorio con la complicità di pezzi di istituzioni corrotte -, i media sono non solo testimoni ma parte in causa. Molte organizzazioni criminali “non gradiscono” pubblicità sui loro delitti: sono le cosiddette “zonas de silencio” (zone di silenzio). Dare le notizie equivale a una condanna a morte. E’ stato così per Cecilio Pineda, ammazzato nel Guerrero, per Ricardo Monluí, del Veracruz, Maximinio Rodríguez, della Baja California, Jonathan Rodríguez, del Jalisco, e per i più noti Miroslava Breach, del Chihuahua, e Javier Valdez, del Sinaloa: gli altri sei cronisti assassinati in tre mesi. Salvador Adame viveva e lavorava a Nueva Italia, nel cuore della Tierra Caliente, dove narcos di bande diverse si affrontano in pieno giorno. Il tasso di armi in circolazione è sconvolgente. Una sera di maggio, Adame non era tornato a casa. Di lui non s'è saputo più nulla. Fino ad ora. Come la maggior parte dei colleghi uccisi, Adame si era trovato ad occuparsi di narcotraffico per “forza”: era la realtà che aveva intorno. Non aveva potuto evitarlo. Il massacro dei giornalisti messicani preoccupa la stampa internazionale e gli attivisti. Dal 2000, sono 128 i reporter assassinati ¬- otto nel 2016 -, venti sono scomparsi. La maggior parte dei crimini resta impunito, nell'inerzia del governo, incapace di dare protezione. O peggio - affermano alcune associazioni di cronisti - complice dei narcos. L'esecutivo tra l'altro, è nell’occhio del ciclone in questi giorni per il presunto spionaggio su giornalisti e attivisti. Telefoni e pc di questi ultimi sarebbero stati infettati con un sistema di sorveglianza virtuale. Lo stesso acquistato da vari enti pubblici messicani. La Procura ha aperto un indagine sulla questione che ha creato ulteriori tensioni tra governo del presidente Enrique Pena Nieto e media.

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