sabato 25 luglio 2015
​Un anno fa lasciava il Sudan per l'Italia ed era finalmente libera. Ora negli Stati Uniti si batte per i diritti umani dei credenti che ancora sono maltrattati o imprigionati per la loro fede.
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"Un anno fa, a un mese dalla scarcerazione, Meriam Ibrahim Ishag saliva su un volo della Presidenza del consiglio italiana conquistando la sua vera e definitiva libertà. Oggi Meriam vive negli Stati Uniti e continua la sua battaglia di fede. Quotidianamente si batte per i diritti dei cristiani perseguitati meno fortunati di lei". Lo ha ricordato sull'Huffington Post Antonella Napoli, giornalista e attivista per i diritti umani, che nel 2014 partecipò alla campagna per la liberazione della giovane sudanese, in carcere all'ottavo mese di gravidanza, condannata a morte per apostasia e poi scagionata grazie alla pressione della mobilitazione internazionale. "Era la notte te il 23 e il 24 luglio del 2014 - ricorda Napoli, presidente di Italians for Darfur e autrice del libro 'Il mio nome è Meriam' - quando Meriam lasciava il Sudan, Paese in cui era stata condannata a morte per apostasia. Ormai sono lontani i giorni del terrore e della prigionia. Lei è la sua famiglia si godono l'estate, il freddo e le prime difficoltà di adattamento delle stagioni fredde sono solo un ricordo. Sono stati mesi duri. Ma anche durante le frequenti nevicate autunnali e le temperature rigide invernali nelle giornate che scorrevano lente nel New Hampshire Meriam ha sempre avvertito intorno a sé il calore di quanti si sono stretti intorno a lei e ai suoi cari per sostenerli. E non li hanno mai lasciati soli".
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