sabato 1 gennaio 2022
«La burocrazia è come una nuova guerra», racconta la madre di Abdelkarim, che ha una grave disabilità cognitiva. Se non hai le carte resti escluso nonostante la situazione emergenziale
I bambini con le madri in attesa della visita nel centro medico di Gazientep

I bambini con le madri in attesa della visita nel centro medico di Gazientep - Dachan

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A Gazientep, nel sud della Turchia, a 130 chilometri da Aleppo, Zakria al-Mohammad, un medico siriano, ha aperto un centro per l’accoglienza e la cura di bambini siriani con disabilità psico-fisica, che non vengono accolti negli istituti locali, prevalentemente per motivazioni di tipo burocratico.

Non avere i documenti in regola, non avere la residenza e il domicilio nello stesso posto, non aver rinnovato la visita biennale che attesta il tipo di disabilità e altre problematiche simili impediscono a questi bimbi di poter essere inseriti in istituti e scuole turche, condannandoli, di fatto, all’isolamento sociale. Resosi conto di questa realtà il dottor al-Mohammad, costretto dalla guerra a lasciare la Siria, ha iniziato a fare assistenza a domicilio, per poi aprire, cinque anni fa, un centro dedicato, dove le porte sono aperte a tutti i minori e le cure sono completamente gratuite.

«Questi bambini sono la parte più fragile e bisognosa della società, dobbiamo impegnarci tutti per aiutarli con umanità e amore affinché possano avere un presente e un futuro», spiega. Insieme allo specialista operano altre otto persone, la maggior parte delle quali sono madri di piccoli con disabilità, che dopo essersi rivolte al dottor Zakria per i propri figli, si sono rimesse in gioco, studiando come fisioterapiste, logopediste, psicologhe.

«Per ogni bambino studiamo un percorso personalizzato in base alle sue specificità. Venire qui ogni giorno, stare insieme ad altri bambini è per loro di grande giovamento. Abbiamo notato un miglioramento in tutti i piccoli, anche in quei casi considerati da altri senza speranza», ricorda al Mohammad. Il centro è operativo sette giorni su sette, dal mattino al pomeriggio. Asmaa e Shuruq sono due delle operatrici del centro, nonché madri di bambini diversamente abili.


È sufficiente una questione burocratica perché i piccoli profughi siano esclusi dagli istituti pubblici Il dottor Zakria al-Mohammad, anche lui rifugiato, ha creato per loro un centro gratuito a Gazientep

La figlia di Asmaa, Marwa, ha cinque anni, e da due è in cura. «Ora riesce ad afferrare gli oggetti, i muscoli si sono potenziati. Non parla, ma si esprime con lo sguardo e con piccoli gesti», racconta la madre. A Mustafa, il figlio di Shuruq, è stato invece diagnosticato l’autismo. «Quando l’ho portato qui la prima volta era un pezzo di legno. Ora colora, mi guarda negli occhi, ha imparato a usare le posate», afferma mentre lo stringe a sé.

«Non dobbiamo dimenticare che questi bambini non hanno solo difficoltà psico-fisiche, ma sono a tutti gli effetti vittime di guerra», ricorda il dottor Zakria. «Dal 2014 sono notevolmente aumentati i casi di bambini con disabilità psico-fisiche. Non c’è ancora una letteratura specifica che lo attesti, ma sicuramente l’esposizione ai bombardamenti, alle violenze, alle armi chimiche, alle tensioni fisiche e psicologiche hanno inciso molto sulla loro crescita e sviluppo». Ascoltando le testimonianze delle mamme, gli orrori della guerra in Siria emergono in tutta la loro forza.

La madre della piccola Lujain, sei anni, racconta che la figlia è nata in una tendopoli per sfollati nella periferia di Aleppo e sin da subito sono emerse le sue condizioni, con gravi disabilità di tipo fisico e cognitivo, ma sotto i bombardamenti nessuno si è occupato di lei.

«La burocrazia è come una nuova guerra», racconta la madre di Abdelkarim, che ha una grave disabilità cognitiva.

«Mi sono ammalata insieme a mio figlio e sto completamente trascurando l’altro. L’unica cosa che mi hanno proposto qui in Turchia è di chiudere il mio bambino malato in un manicomio», afferma esasperata. «Conoscere questo centro e il dottor Zakria ci ha salvato entrambi. Non sapevamo più che cosa fare».

Ammar e Mohammed sono due gemelli curdi di otto anni, nati a Raqqa quando la città era sotto il controllo del Daesh. «I medici mi avevano detto che avrei dovuto fare il cesareo e che i bambini sarebbero dovuti stare in incubatrice, ma la legge del Califfato proibiva questi interventi. I miei figli sono, così, nati con una grave mancanza di ossigeno e non hanno ricevuto le cure adeguate», racconta la madre, che da un anno ha scoperto di avere una massa sospetta alla testa. Il suo occhio sinistro è ormai compromesso. «Il dottor Zakria ci ha accolto come se fossimo di famiglia, come se fossimo di casa. È stato l’unico».

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