venerdì 9 giugno 2017
Il partito conservatore della premier Theresa May ha vinto le elezioni ma non è riuscito a conquistare la maggioranza assoluta. Verso un governo di coalizione
La premier Theresa may con il marito Philip al seggio (Ansa/Ap)

La premier Theresa may con il marito Philip al seggio (Ansa/Ap)

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Dopo la vittoria della Brexit e le traumatiche dimissioni di David Cameron un nuovo tsunami politico scuote il Regno Unito. Non è bastata a Theresa May la vittoria ai punti nella notte di venerdì, perché quella maggioranza relativa guadagnata dai Tories è a tutti gli effetti una sonora sconfitta: le elezioni volute dalla premier per rafforzare il governo e affrontare con maggior sicurezza lo scoglio delle trattative per l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa hanno di fatto privato i conservatori della maggioranza assoluta, rendendo così indispensabile un governo di coalizione.

La débâcle dei Tories affonda in primo luogo la May stessa, punita da un elettorato che troppo superficialmente aveva stimato dalla propria parte e già fin d’ora al centro di critiche serrate all’interno del partito. «Una catastrofe, la hard Brexit è seppellita», ha sentenziato l’ex ministro Osborne, mentre, puntuale, la sterlina scivolava in basso di due punti. Il ciclone politico colpisce anche gli altri partiti: sparisce l’Ukip di Nigel Farage (vittorioso nel referendum con il 12% dei consensi) e perde un terzo dei seggi lo Scottish National Party di Nicola Sturgeon (e con esso la concreta prospettiva di un secondo referendum sull’indipendenza del Regno Unito), mentre crescono i liberaldemocratici (insieme agli scozzesi fortemente europeisti), che hanno preventivamente annunciato che non faranno alcuna alleanza con la May.

Sugli scudi va Jeremy Corbyn, con il Labour che guadagna una trentina di deputati e che soprattutto riemerge dalla nebbia dell’irrilevanza. Quell’irrilevanza che ha spinto Theresa May a indire nuove elezioni, forte di un distacco di almeno 20 punti fra i due partiti. L’unica coalizione possibile fino a questo momento parrebbe quella con gli unionisti dell’Irlanda del Nord, forti di una decina di seggi. Quelli che mancano cioè alla May per garantirsi una risicatissima maggioranza di 2 punti.

Ora dunque viene il peggio. Con un leader dimezzato, incerto e propenso a gaffes clamorose come la “dementia tax” (un progetto di legge poi ritirato che contemplava la possibilità di far pagare con l’ipoteca del proprio immobile le cure sanitarie per gli anziani), ma anche con la pericolosa deriva autoritaria che implicava la sospensione di alcuni diritti civili (la famigerata “Sus Law”, il dispositivo che consente alla polizia di fermare, perquisire e arrestare chiunque sulla base del semplice sospetto), le elezioni di giovedì gettano un’ombra di inquietudine anche sull’Europa.

Chi si presenterà all’appuntamento del 19 giugno con i negoziati per la Brexit? La May o il suo fantasma? Corbyn chiede le dimissioni della premier, ma è soprattutto il rumore di sciabole che s’indovina fra le file dei conservatori a lasciar capire che il futuro della signora dalle ballerine leopardate è quanto mai incerto. Il regolamento di conti di fatto è già iniziato.

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