martedì 15 marzo 2011
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«C’è un rischio che non è stato ancora appieno valutato. Uno dei tre reattori della centrale 1 di Fukushima è alimentato con Mixed Oxide Fuel, ovvero uranio e plutonio, quest’ultimo elemento rende di più ma è anche molto più inquinante e pericoloso. C’è davvero da augurarsi che non fonda quel nucleo». Maurizio Martellini, docente di fisica teorica all’Università dell’Insubria e segretario generale del Landau Network-Centro Volta, salta da una riunione all’altra. Come esperto di nucleare è interpellato di continuo da istituzioni e media. Professore, che cosa succede alla fusione del nucleo di una centrale?In ogni reattore vi sono decine di migliaia di barre di combustibile fissile. In una camicia di zirconio sono incapsulate pillole di uranio. Quando si superano i duemila gradi per problemi al raffreddamento, lo zirconio comincia a sciogliersi, con conseguente dispersione di scorie e altro materiale radioattivo. Le conseguenze variano secondo la portata dell’incidente, fusione parziale o totale. A Fukushima si tratta comunque di una situazione seria.Che cosa è stato fatto e che cosa si può fare ora?La società che gestisce l’impianto mi pare abbia compreso subito la gravità della situazione nei tre reattori attivi al momento del sisma. Lo si capisce da un dato: si è usata acqua di mare per il raffreddamento d’emergenza, ben sapendo che essa danneggerà in modo irreparabile i reattori, che costano circa 10-12 miliardi di dollari l’uno. E il loro smantellamento può avere un prezzo tre volte più alto. Adesso bisogna raffreddare gli altri reattori, in particolare quello a plutonio. Quali possono essere le conseguenze per la popolazione?Per ora il livello di radioattività è basso. La zona di evacuazione a 20 chilometri mette al sicuro gli abitanti. Certo, la fusione porterebbe a una fuoriuscita maggiore e quindi a una diffusione di sostanze cancerogene, tra le quali il plutonio è la più insidiosa. I venti spirano verso Usa e Canada, un’ipotetica nube si dirigerebbe in tre/quattro giorni verso quei Paesi.Era un evento prevedibile quello che ha messo in ginocchio la centrale considerata sicurissima?La probabilità di un terremoto così forte seguito dallo tsunami era bassissima. Inoltre, nessun artefatto può resistere davvero a un’onda di quel tipo. D’altra parte bisogna costruire vicino al mare o a fonti idriche. Per quanto riguarda la sicurezza, si tratta comunque di un problema di costi-benefici. Ci sarà un ripensamento sul nucleare in Giappone?Penso di sì. Mi azzardo a dire che una decina di centrali verranno spente e chiuse. E questo provocherà, inevitabilmente, uno choc energetico. Il Giappone, che dall’atomo trae oltre il 30 per cento della propria energia, aumenterà le importazioni di idrocarburi; l’accresciuta domanda, insieme con la crisi libica, farà salire il prezzo del petrolio a nuovi record, forse 130 dollari al barile.E negli altri Paesi che sono già sulla strada del nucleare cosa accadrà?Va considerato che gli stessi Stati Uniti non costruiscono centrali da decenni. I costi per garantire la sicurezza sono diventati altissimi. E Washington ha deciso di puntare sul petrolio estratto dalle rocce e dalle sabbie. Altri Paesi diventeranno molto più cauti. Il nucleare ha, in genere, rischi molto bassi, ma quando accade un incidente le conseguenze possono essere molto pesanti.
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