
Le tombe lungo le strade di Mariupol - Reuters
Nessuno sa quanta gente sia rimasta a Mariupol. Prima della guerra si sfioravano i 500mila abitanti. «Ora si ipotizza che siano un centinaio», spiega il direttore della Caritas greco-cattolica della città martire, padre Rostyslav Sprynyuk. Civili, si intende. Il resto dei “fantasmi” che si aggirano fra i ruderi ha le divise o il passaporto russo. « Impossibile sapere anche quanti siano i morti per gli attacchi senza sosta che l’hanno devastata. Mariupol è un immenso cimitero dove a ogni passo potrebbe esserci la tomba di qualcuno, tante sono le persone uccise in ogni angolo della città», afferma il sacerdote. E subito aggiunge: « Poi c’è un’altra grande incognita: i numeri sui deportati in Russia. Che ci siano stati e che non si tratti di qualche centinaio, ne siamo sicuri». Comunque almeno una cifra attendibile può raccontare la tragedia di una città sventrata: «Sono 300mila gli evacuati. L’hanno abbandonata per salvarsi da un inferno che non si può augurare al peggior nemico. Una parte dei profughi si è rifugiata all’estero; una parte ha scelto di rimanere nel Paese». La maggioranza a ovest; ma anche intorno al confine che separa i territori occupati dal Cremlino da quelli che restano sotto il controllo di Kiev. Zone calde dove i razzi lanciati da poche decine di chilometri sono all’ordine del giorno, insieme con il clima di terrore che Putin vuole alimentare. Come sperimenta Zaporizhzhia, la prima grande città libera che si incontra fuggendo dalle regioni conquistate.
Il direttore della Caritas greco-cattolica di Mariupol, padre Rostyslav Sprynyuk, sfollato a a Zaporizhzhia - Gambassi
Ed è a Zaporizhzhia che padre Rostyslav risiede. In un appartamento condiviso. Un presente da sfollato anche per lui. Ma sempre alla guida di quella che «rimane la Caritas di Mariupol seppur in esilio», sottolinea. Era la più articolata nell’est del Paese. Da nove mesi vive una diaspora che «ci vede impegnati là dove i profughi della nostra ex città si trovano: dalle varie zone dell’Ucraina occidentale e centrale ai villaggi qui vicino alla linea di demarcazione delle zone occupate», dice il sacerdote. Un gruppo di lavoro che ha pagato con un prezzo altissimo la scelta di non lasciare Mariupol subito dopo i primi giorni dell’invasione. «Due nostri operatori sono stati uccisi con i loro familiari che si erano rifugiati nella sede di Caritas Ucraina colpita da un carro armato russo». In tutto sei morti. « E sedici persone sono rimaste intrappolate fra le macerie della palazzina crollata». Era il 12 aprile.
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Mariupol in queste settimane, distrutta e deserta - Ansa
I contatti clandestini non si sono mai interrotti con la città di cui l’esercito di Mosca si è impossessato fin dall’inizio della guerra. Bersagliata con attacchi aerei, missili e colpi d’artiglieria, isolata dal mondo, ha rifiutato di arrendersi per 86 giorni diventando il simbolo della resistenza ucraina. «Sopra le nostre teste è caduto di tutto – ricorda il prete –. Come Caritas avevamo scorte significative di beni di prima necessità: abbiamo fatto rete con altri associazioni ma i bisogni erano troppi». Il cibo è finito. «Andavamo a prendere l’acqua al fiume camminando per chilometri sotto una pioggia di fuoco. E abbiamo anche sciolto la neve per poter bere». Una resistenza che a Mariupol è costata la distruzione sistematica. «E ora gli occupanti stanno radendo al suolo quanto resta degli edifici bombardati per cancellare le prove di tutti i crimini contro l’umanità che hanno commesso», sostiene il sacerdote. Nei pochi stabili ancora in piedi «mancano elettricità, riscaldamento e acqua potabile: di fatto non ci sono le condizioni per viverci». Per di più «la rete di comunicazione è limitata e filtrata».
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La distruzione di Mariupol, città in mano ai russi - Ansa
Eppure Mosca ha già ordinato di ricostruire. «Sono state fatte arrivare squadre di lavoratori per realizzare nuovi condomini che, però, saranno deserti», osserva il direttore della Caritas. Una pausa. « Mariupol testimonia l’annientamento pianificato di una popolazione, equivalente a quello concepito dal regime nazista con i suoi campi di concentramento. Nelle stanze del Cremlino è stato deciso di eliminare un’intera città che era l’emblema dell’Ucraina libera e indipendente. Ma in questi lunghi mesi di guerra anche altre città del Paese hanno subito la stessa sorte».
La parrocchia greco-cattolica della Madonna del Perpetuo Soccorso a Zaporizhzhia dove ha sede la Caritas di Mariupol - Gambassi
Adesso la Caritas “al confino” ha come quartier generale la parrocchia greco-cattolica della Madonna del Perpetuo Soccorso fra i condomini-dormitorio di Zaporizhzhia. E da qui si fa la spola con gli abitati più prossimi al fronte. «Le due maggiori emergenze sono il freddo e l’acqua potabile. Quando le condizioni di sicurezza ce lo consentono, portiamo generatori di corrente e rifornimenti per bere». Anche mentre si sentono i rumori dei combattimenti. «È preoccupante essersi abituati alla guerra », si rammarica padre Rostyslav. E torna alla “sua” Mariupol. «Ogni tanto mi domando se debba rinascere. Rispondo: no. È bene che, sull’esempio di Auschwitz, resti così com’è. E mostri a futura memoria che cosa la follia russa ha prodotto in Ucraina».