mercoledì 22 gennaio 2014
​In diecimila, a Washington, in cammino verso la Corte suprema, che nel 1973 legalizzò l'aborto.
(di Elena Molinari)
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WASHINGTON - La neve e le temperature polari del Nordest americano hanno fermato alcuni autobus e cancellato qualche volo. Ma non hanno impedito che decine di migliaia di manifestanti si riversassero ieri da tutti gli Stati Usa sulla spianata del Campidoglio di Washington per la 41esima marcia per la vita, che coincide con l’anniversario della legalizzazione dell’aborto negli Stati Uniti. A causa della tempesta, una mini maratona di 5 chilometri è stata depennata, il concerto pre-marcia accorciato e i discorsi ridotti a 45 minuti, come ha spiegato Jeanne Monahan, presidente dell’organizzazione March for Life. In compenso sono stati potenziati i momenti al coperto, come il concerto e la veglia di preghiera per i giovani organizzata dall’arcidiocesi di Washington che, come lo scorso anno, si è sdoppiata al centro convegni Verizon e all’antico arsenale della capitale Usa per ospitare più di 30mila ragazzi. Molti sono arrivati direttamente dal Santuario nazionale dell’Immacolata Concezione, dove per tutta notte 10mila pellegrini hanno pregato e ricevuto la confessione dopo aver preso parte alla Messa presieduta dal cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston e presidente della Commissione episcopale Usa per le attività pro-vita, oltre che membro del Consiglio degli 8 cardinali-consiglieri di papa Francesco. Lo stesso Pontefice ha inviato un saluto via Twitter ai manifestanti, unendosi «alla Marcia per la Vita a Washington con le mie preghiere». «Possa Dio aiutarci – ha continuato il Papa – a rispettare ogni forma di vita, in particolare i più vulnerabili». Dalla Casa Bianca invece Barack Obama ha voluto confermare proprio ieri il suo «impegno a favore del principio secondo cui ogni donna deve essere in grado di fare le proprie scelte sul suo corpo e la sua salute». Il dialogo su Twitter fra chi marciava e chi pregava da casa o dalle proprie parrocchie è continuato per tutto il giorno, al ritmo di cento tweets ogni pochi secondi, mentre la "marcia virtuale" su Facebook raccoglieva centinaia di migliaia di adesioni. La presenza massiccia sui social media conferma che negli ultimi anni il volto dell’evento è ringiovanito. Al suo centro ci sono ora studenti e giovani adulti determinati a far sentire la loro voce. Dal 2012 il numero di volontari che rendono possibile la Marcia per la vita è raddoppiato, così come i fondi che raccolgono. Forse perché sono nati dopo il 1973, nell’epoca dell’aborto legale negli Stati Uniti, e si considerano dei "sopravvissuti". Ma è vero che stando ai sondaggi gli under 40 sono tendenzialmente più pro-life dei loro genitori. In realtà, l’atteggiamento dell’intera opinione pubblica americana nei confronti dell’aborto è cambiato negli ultimi anni. Oggi, stando alla Gallup, il 48% degli americani si considera pro-life e il 45% pro-choice (vale a dire, che difende il diritto di una donna di scegliere cosa fare del suo corpo, come predica Obama). Fino al 2006 le proporzioni erano capovolte. Cambiata è anche la strategia del movimento per la vita. Ora promuove azioni più locali, capillari, con il risultato che fra il 2011 e il 2013 è entrato in vigore a livello statale un numero maggiore di leggi a limitazione dell’aborto che in tutti i dieci anni precedenti. Il tono del dibattito, pur rimanendo caldo, sembra nel frattempo essere diventato più moderato, teso a rivolgersi più alle future mamme in difficoltà che agli ideologi dell’interruzione di gravidanza. Non a caso il tema della Marcia per la vita di ieri è stato l’adozione, presentata dalla presidente della Marcia, Jeanne Monahan, come «una possibilità per tutte le donne che considerano l’aborto e un obiettivo sul quale ci possiamo trovare d’accordo anche con molti esponenti del movimento pro-choice». Monahan ha ricordato che 1,2 milioni di bambini sono abortiti ogni anno, mentre solo 20mila neonati vengono adottati. «La mia generazione cambierà quei numeri – è stata l’immediata risposta inviata via Twitter da Jessica Mazal, una 21enne alla marcia di Washington –. Non siamo qui per accusare nessuno. Siamo qui perché questa è la più grande battaglia per i diritti umani della nostra generazione».
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