sabato 4 dicembre 2021
Proveniente dallo Sri Lanka, l’uomo era accusato dalla gente per aver strappato manifesti dell'islam. Il linciaggio è stato filmato da molti dei presenti: almeno 120 le persone fermate
Le proteste della folla per l'uccisione dell'immigrato dello Sri Lanka

Le proteste della folla per l'uccisione dell'immigrato dello Sri Lanka - Ansa

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Ha suscitato emozione e condanna l’uccisione a Sialkot, città del Punjab pachistano, del manager straniero di una manifattura che venerdì mattina è stato aggredito e bruciato vivo dopo che si erano diffuse voci che avesse strappato alcuni manifesti dell’islam «con il nome di Maometto». I video ripresi dalle telecamere di sorveglianza, che gli inquirenti stanno visionando, mostrano centinaia di individui che si raccolgono attorno all’ufficio di Priyantha Kumara, cittadino dello Sri Lanka, lanciando slogan prima dell’aggressione e del rogo filmati da molti dei presenti. Sono almeno 120 i sospetti fermati, incluso il principale indiziato.

Alla popolazione di Sialkot, importante centro produttivo di beni per l’esportazione, l’uccisione di Kumara ha ricordato il linciaggio il 15 agosto 2010 dei giovani fratelli Muneeb e Mughees Bhutt, indicati come membri di una gang. Allora il crimine, avvenuto in presenza di poliziotti che non erano intervenuti, era stato filmato e diffuso online provocando un’ondata di sdegno. Il premier Imran Khan ha parlato di «orribile attacco di giustizieri fai da te», indicando quello di venerdì come «un giorno di vergogna per il Pakistan». «Sto soprintendendo alle indagini e non ci devono essere dubbi che tutti i responsabili saranno punti con la maggiore severità concessa dalla legge», ha sottolineato.

Gli arresti dopo il linciaggio a Sialkot

Gli arresti dopo il linciaggio a Sialkot - Ansa


Sulla stessa linea un messaggio dei servizi di sicurezza pachistani, che hanno anche comunicato come il capo di stato maggiore dell’esercito, generale Qamar Javed Bajwa, abbia espresso un pieno sostegno all’amministrazione civile per arrivare all’arresto dei responsabili di questo «crimine odioso». Davanti all’unità di intenti tra governo, magistratura e forze armate, anche movimenti e partiti islamici, finiti – come il Tehreek-i-Labbaik Pakistan che ha negato ogni responsabilità – nel mirino per il continuo accento posto sulla difesa dalla blasfemia e per la negazione ad oltranza di qualunque modifica degli articoli del codice penale che definiscono questo reato applicato in modo arbitrario e spesso letale, si sono uniti alla condanna.
Parlando ai mass media alcune ore dopo il crimine, lo Speciale rappresentante per gli Affari religiosi e l’Armonia interreligiosa del Punjab, Hafiz Tahir Mehmood Ashrafi, ha condannato «a nome degli ulema» il linciaggio, parlando di «sfregio all’islam» e di «atto barbaro».
Ieri il primo ministro dello Sri Lanka, Mahinda Rajapaksa, ha chiesto al suo omologo pachistano di individuare i responsabili e si è detto fiducioso che Khan «manterrà il suo impegno di portare tutte le persone coinvolte davanti alla giustizia». Lo stesso ha fatto il responsabile degli Esteri srilanchese, Gamini Lakshman Peiris, parlando al telefono con il collega Shah Mahmood Qureshi.

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