sabato 9 febbraio 2013
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​«Gli interventi preventivi – e dunque le vaccinazioni – sono più difficili da comprendere perché non danno benefici immediati». Se le resistenze possono essere, in qualche modo, “normali”, il massacro deliberato dei volontari impegnati nella campagna di vaccinazione sconvolge anche chi è abituato a confrontarsi con contesti difficili come quello africano. Fabio Manenti ha trascorso 11 anni tra Uganda ed Etiopia per l’Ong Cuamm-Medici con l’Africa e ora lavora nella sede principale dell’organizzazione. «A memoria non ricordo un episodio di tale aperta ostilità», afferma.Le saranno comunque accaduti casi di malcontento con la popolazione locale...Nel 1998, in Nord Uganda sono stato sfiorato da un proiettile vagante: alcuni malviventi hanno cercato di colpire l’auto per bloccarla e rapinarci. Allora, capitava spesso che i sanitari fossero nel mirino di bande di delinquenti comuni che volevano derubarli. Non correvamo dei pericoli per il fatto di essere medici ma perché avevamo una macchina. In Etiopia, nel 2004-2005, ho vissuto, invece, in prima persona, un caso di resistenza alle vaccinazioni.Perché le rifiutavano?Proprio i residenti intorno all’area dell’ospedale non venivano quando abbiamo cominciato la campagna. Non si presentavano né tantomeno portavano i bambini. Pian piano, abbiamo scoperto la ragione: la maggior parte degli abitanti era di etnia oromo, quella più intransigente e critica nei confronti del governo. Questi associavano esecutivo e vaccinazioni, dunque rifiutare le ultime era un modo per esprimere il proprio dissenso nei confronti del primo.Anche a Kano hanno colpito le volontarie perché le consideravano, in qualche modo, un’emanazione del nemico occidentale...È vero. Nel caso nigeriano, poi, si aggiunge la diffusione di idee fanatiche come quelle che i vaccini anti-polio possano in qualche modo provocare sterilità. Affermazioni che non hanno alcun fondamento medico e sono frutto di un’ideologia estremista.  Come avete fatto a vincere la diffidenza?È questione di credibilità. E si costruisce nel tempo. Grazie alle cure che si garantiscono quotidianamente alla popolazione. Aiutare una donna a partorire, sistemare un arto rotto, fasciare una ferita sono interventi che portano soluzioni immediate. La gente si vede assistita e comincia a dare fiducia a chi li aiuta. In questo modo, si ottiene il consenso necessario per fare prevenzione. Per questo, in Africa, gli interventi di breve periodo hanno in genere un impatto limitato. A volte, poi, nel Sud del mondo, i centri sanitari governativi mancano di tutto, dai farmaci agli stessi medici. La gente spesso incontra gli operatori solo in occasioni delle “campagne”. Non è facile, dunque, per loro fidarsi.
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