giovedì 5 dicembre 2013
Esequie a Qunu, il villaggio natale. Il 10 allo stadio di Johannesburg una cerimonia in memoria. Poi la camera ardente a Pretoria.
L'EREDITÀ L'uomo che ha cambiato il volto del Sudafrica (Matteo Fraschini Koffi) | LA BIOGRAFIA Dalla cella alla presidenza: un lungo cammino verso la libertà
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Le esequie di Nelson Mandela si svolgeranno il prossimo 15 dicembre a Qunu, il villaggio natale dell'ex presidente sudafricano. Lo ha annunciato il presidente sudafricano Jacob Zuma che ha confermato che martedì 10 dicembre nello stadio di Johannesburg si terrà una cerimonia in memoria. Dopo il feretro verrà esposto per tre giorni nella camera ardente a Pretoria. Zuma ha anche dichiarato per domenica prossima, 8 dicembre, una giornata nazionale di preghiera e riflessione.Addio a Nelson Mandela. Ha sconfitto l'apartheidOra che non c’è più, ora che per sempre è consegnata alla storia la sua incredibile vicenda umana e politica, non è solo un Paese, il suo Sudafrica, a piangerlo e ricordarlo. L’annuncio è stato dato nella tarda serata di ieri dal presidente Jacob Zuma. «Adesso riposa, adesso è in pace. La nostra nazione ha perso un grande figlio».Il nome di Nelson “Madiba” Mandela, morto nella sua casa di Johannesburg all’età di 95 anni, è invocato in queste ore in tutto il continente nero, che attonito sembra ancora incredulo davanti alla scomparsa del suo fragile gigante. Di più, è dal mondo intero che giungono dichiarazioni d’affetto, e non sono quelli delle cancellerie diplomatiche i messaggi che spiccano di più, quanto quelli della gente comune, i pensieri che si levano dalle migliaia di baraccopoli del mondo in cui quel volto sorridente da nonno buono ricordava a tutti, anche agli ultimi, che la speranza non è vana quando si lotta per una giusta causa.  Già da tempo Mandela era debole e quasi impossibilitato a muoversi. Parlava ormai a fatica e le sue uscite pubbliche si erano ridotte a una o due all’anno. L’ultima volta che il mondo lo aveva visto era stata alla cerimonia di chiusura dei Mondiali di calcio sudafricani. I Mondiali della sua terra, evento da lui stesso così tanto voluto e che hanno fatto conoscere la vitalità e la gioia di vivere di un popolo che pure in gran parte ancora fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. Aveva salutato il pubblico del Soccer City Stadium di Johannesburg, in quell’occasione, a bordo di una piccola automobile scoperta. E a tutti già era sembrato di scorgere, in quell’eterno sorriso, il commiato da una vita che gli aveva regalato, per l’ultima volta, l’emozione della folla festante, dell’infinito applauso in standing ovation sommerso dal frastuono delle vuvuzela.Ci sono attimi della vita di un uomo che si staccano dalla cronaca quotidiana per sedimentarsi nella memoria collettiva. Ancora Johannesburg, 1995: Mandela da poco tornato libero consegna il trofeo di campioni del mondo di rugby alla squadra sudafricana. Lui, nero, avanza fiero in uno stadio che celebra lo sport dei bianchi. Sorridente in un tripudio che è il primo sigillo della “nazione arcobaleno”. E ancora. Houghton, 2005: un padre africano ammette che suo figlio è morto di Aids, qui dove l’Hiv è ancora un male tabù di cui non si parla per evitare lo stigma sociale. A quel punto della sua vita Nelson Mandela è già l’emblema dell’Africa intera. È amato, rispettato. E sa che il suo gesto servirà da esempio.Simbolo mondiale dei diritti umani, dell’uguaglianza tra i popoli, della dignità umana non meno del solido coraggio politico, Mandela forse più di ogni altro ha saputo sublimare negli anni i dolori privati in catarsi pubbliche. E nemmeno perdeva occasione per richiamare il Sudafrica e il mondo intero alle sue responsabilità. «La povertà tiene la nostra gente in pugno – aveva sottolineato ancora il giorno del suo 90esimo compleanno – Ci sono persone in Sudafrica che sono molto ricche e che potrebbero condividere le proprie ricchezze con coloro che sono meno fortunati e che non sono stati in grado di sconfiggere la povertà».Pensava di essere fortunato, il vecchio “Madiba”. Perché «se sei povero è improbabile che tu viva così a lungo», come a lui è riuscito. E se eri povero e nero e animato da grandi ideali era improbabile che non finissi in prigione nel Sudafrica dell’apartheid. Tradimento, cospirazione. Una scusa si trovava sempre. Non era ingenuo, Mandela. E quei 27 anni trascorsi dietro le sbarre avrebbe preferito, lo diceva sempre, trascorrerli con la sua famiglia. Ma il carcere non era stato in grado di zittire la sua libertà, tanto che nel 1980 era riuscito a far pubblicare un manifesto contro la segregazione razziale. Dovrà passare un altro decennio prima che il presidente Frederick de Klerk annunci la liberazione di Mandela. In 500mila lo attendono per le strade, si riversano dalle mille township in uno stadio troppo piccolo per tutti. Per vederlo parlare da uomo libero, il pugno destro alzato, la voce arrochita ma ferma a chiedere l’uguaglianza tra gli uomini. Nel 1993 arriva, per Mandela e De Klerk, il Nobel per la pace, dodici mesi dopo “Madiba” è il primo presidente nero della “nazione arcobaleno”. Tre anni fa chiedemmo in un’intervista allo stesso De Klerk quali furono le prime parole scambiate con Mandela. «Niente di specifico – rispose serafico –. Ci siamo dati la possibilità di conoscerci. E abbiamo capito che avremmo potuto collaborare con successo».Il successo, evidentemente, sta soprattutto nell’aver creato una democrazia costituzionale fondata sul rifiuto del razzismo e nella progressiva integrazione dei neri in ogni aspetto della vita sociale e politica. Nessuno però può nascondersi che, dopo due decenni, la promozione dell’uguaglianza e l’urgenza di garantire migliori condizioni di vita alla popolazione sono state raggiunte solo in parte. E il nome di Mandela è stato spesso usato dai suoi successori Mbeki e Zuma come una foglia di fico utile a coprire errori amministrativi e politici.Negli anni, peraltro, sempre più la dimensione Mandela è diventata globale. Le sue campagne mondiali, il suo impegno umanitario – non meno del suo passato – lo hanno trasformato in un’icona già consegnata con uguale potenza simbolica tanto alle magliette pop quanto ai libri di storia. Deve averci pensato anche ieri, “Madiba”, a questa duplice responsabilità. Ma a 95 anni, e con la sua storia alle spalle, l’onere non deve essergli sembrato troppo gravoso. (Paolo M. Alfieri)
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