venerdì 6 dicembre 2013
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Lasciare la più alta carica dello Stato dopo un solo mandato è una rarità in Africa. Un esempio di democrazia di cui si possono vantare pochissimi leader del Terzo mondo. L’attualità sudafricana sta però mettendo a dura prova l’eredità di Nelson Mandela. «Con la fine dell’apartheid, il Sudafrica è passato dall’avere una delle più carenti distribuzioni delle ricchezze a livello internazionale – affermano alcuni analisti – a una situazione ancora peggiore». La minoranza dei bianchi (il 10%), rimane il primo beneficiario dell’economia sudafricana. Seguono i cittadini di origini asiatiche. La maggioranza della popolazione vive infatti in condizioni di durissima povertà. Il Sudafrica post-Mandela, attraverso i governi di Thabo Mbeki e Jacob Zuma, è rimasto una grande potenza economica a livello mondiale, ma l’approccio nazionale è in gran parte un’eredità dell’apartheid che non si preoccupava dei bisogni di una popolazione in rapido aumento. «La sfera finanziaria continua ad essere dominata da enormi corporazioni di bianchi – spiega John Campbell, esperto del Sudafrica al “Council on foreign relations” (Cfr) – solo una piccola nicchia di sudafricani neri dotata di contatti altolocati è riuscita ad arricchirsi». Nonostante il Paese sia al quinto posto per reddito pro capite in Africa, un quarto della popolazione è disoccupata. Una gestione corrotta dell’industrializzazione, infatti, ha permesso che quasi un terzo dei cittadini sudafricani continuasse a vivere con meno di un euro al giorno. Anche la questione della terra non ha subito riforme e, in gran parte, riflette ancora la legislazione del 1913 che dava l’87% dei terreni ai bianchi. Inoltre l’istruzione e il sistema sanitario sono ancora ben lontani dal soddisfare i bisogni dei ceti più bassi. Fino al 2011 la spesa pubblica destinata al settore educativo è rimasta sotto al 6% del Pil e , secondo un recente studio redatto dal “South African institute of race relations”, «l’aspettativa di vita per un bianco sudafricano è di 71 anni, rispetto ai 48 per un nero». Il rallentamento di un vero “miracolo sudafricano” nel post-Mandela è stato principalmente causato dalle lotte di potere all’interno dell’Anc. «Il partito ha svolto un ruolo fondamentale per combattere l’apartheid – ha detto l’arcivescovo anglicano Desmond Tutu, grande amico di Madiba – ma non lo voterò più perché non c’è ancora stato un vero cambiamento sociale e politico nel Paese».
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