giovedì 17 febbraio 2022
Annunciato il trasloco del contingente in Niger, dove i francesi controllano l'estrazione dell'uranio. Promessi 150 miliardi. Frizioni sui brevetti per i farmaci anti-Covid
Il summit Ue Africa

Il summit Ue Africa - Reuters

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Il caso Mali adombra l’avvio del primo vertice tra Ue e Unione Africana dal 2017, un summit che avrebbe dovuto aver luogo nel 2020 ma che la pandemia ha costretto a rinviare. Cinquantacinque leader africani e 25 leader Ue (il premier Mario Draghi ha dovuto lasciare Bruxelles per preparare il Consiglio dei Ministri, lasciando la delega di rappresentarlo al presidente francese Emmanuel Macron, assente pure l’ungherese Viktor Orbán). In effetti in mattinata è stato ufficializzato quel che già si sapeva: la missione francese “Barkhane” in Mali contro il terrorismo jihadista, lanciata nel 2013 e al momento forte di 2.400 soldati, e anche la missione Ue a guida sempre di Parigi “Takuba” (600-900 soldati di 14 Stati) cesseranno le attività in Mali, a causa del colpo di Stato militare a Bamako e dei pessimi rapporti con la giunta golpista al potere. Macron ha parlato di una chiusura nel giro di nove mesi. Gli europei, Parigi in testa, cercano però di rassicurare. Macron ha infatti annunciato che il grosso della missione opererà nel vicino Niger (peraltro ricco di miniere di uranio sfruttate dalla Francia), che ha già accettato di ospitare i militari europei al confine con Mali e Burkina-Faso. «Non abbandoniamo il Mali – ha dichiarato l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell – non abbandoniamo il Sahel: riorganizziamo la nostra presenza per affrontare la nuova situazione politica».
Al vertice Ue-Ua, che si chiude oggi, è molto in gioco, anzitutto l’ansia dell’Unione Europea di evitare di lasciare l’Africa nelle mani di Cina e Russia. Quest’ultima ha già vinto in Mali, dove decisivo per gli ultimi sviluppi è stato il gruppo di mercenari Wagner, ritenuto molto vicino al Cremlino. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si è presentata con un mega piano di investimenti in Africa di qui al 2027 per 150 miliardi di euro, la metà del «Global Gateway», che vuole essere la risposta al gigantesco piano cinese «Belt and Road Initiative» (in realtà solo 36,8 miliardi di euro vengono dal bilancio Ue, il resto sono garanzie di crediti per 53,4 miliardi di euro, fondi degli Stati membri per 20 miliardi di euro e investimenti privati). Soldi destinati a finanziare una lunga lista, una sessantina di progetti, in settori come le infrastrutture di trasporti, di energia, di reti digitali, istruzione, sanità, sostegno alle piccole e medie imprese. «L’Europa vuole sostenere l’Africa in questo momento decisivo per lo sviluppo globale. Potete contare sul nostro aiuto e sulla nostra amicizia», afferma Draghi nel discorso letto per lui da Macron. «Dobbiamo attrarre capitali e indirizzarli verso progetti sostenibili – aggiunge – per farlo, occorre procedere con la riduzione del debito, trovare strumenti per condividere i rischi con il settore privato, sviluppare i mercati obbligazionari per l’emissione di titoli sostenibili». Il tutto ricordando i 700 milioni di dollari di contributo italiano al rifinanziamento dell’Ida (l’Associazione internazionale per lo sviluppo, ndr) con 93 miliardi di dollari.
Tra i punti più controversi c’è il capitolo vaccini. Punto di particolare dissidio, la liberalizzazione delle licenze, che Bruxelles rifiuta e che gli africani invece pretendono. «Non è un punto su cui siamo pronti a cedere» ha avvertito il presidente del Botswana Mokgweetsi Masisi. le Ong lamentano che l’Europa, principale esportatore al mondo di sieri anti-Covid, ha inviato in Africa solo l’8%, intanto ha dovuto gettare 55 milioni di dosi scadute. Solo l’11% degli africani è vaccinato. L’Europa risponde che in realtà sono state già consegnate ai vicini del Sud 148 milioni di dosi, che arriveranno a 450 milioni entro l’estate. Bruxelles inoltre investirà insieme alla Bill Gates Foundation 100 milioni di euro nei prossimi cinque anni per creare l’Ama, l’agenzia del farmaco africana. C’è poi il capitolo della produzione di vaccini in loco, per la quale l’Ue ha previsto un piano da un miliardo di euro (tra investimenti pubblici e privati) gestito dalla Bei. Una prima fabbrica è già aperta in Ruanda, un’altra a breve in Senegal.

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