martedì 5 settembre 2017
La giovane pachistana critica la politica birmana, accusandola di inattività di fronte alle violenze sulla minoranza islamica. Continua l’esodo: oltre125mila fuggiti in Bangladesh
Scontro tra Nobel: Malala attacca Suu Kyi sui Rohingya
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Non si ferma l’esodo dei Rohingya in fuga da scontri e rastrellamenti nello Stato occidentale birmano di Rakhine e mentre quelli fuggiti in Bangladesh hanno raggiunto, secondo le ultime stime delle Nazioni Unite, i 125mila, sono solo frammentarie le notizie su coloro che cercano la salvezza altrove all'interno del Myanmar.

Se incerta è la sorte dei Rohingya, crescono sicuramente le critiche verso il ministro degli Esteri e Consigliere di Stato Aung San Suu Kyi, accusata di tenere un atteggiamento non coerente con il proprio luogo di statista, di campione della lotta nonviolenta contro la dittatura e anche di Premio Nobel per la Pace. Proprio un altro Nobel, il più giovane della storia, la 20enne pachistana Malala Yousafzai, ha ieri chiesto alla blasonata collega un’azione decisa a per mettere fine alla persecuzione dei Rohinga: «Negli ultimi anni io ho più volte condannato questo tragico e vergognoso trattamento – ha scritto la musulmana Malala su Twitter –. Sto an- cora aspettando che la mia collega di Nobel Aung San Suu Kyi faccia lo stesso».

Perché, ha aggiunto, «il mondo sta aspettando e i musulmani Rohingya stanno aspettando». Un elemento, quello religioso, che sta acquistando sempre maggior rilievo. Sia nelle sollecitazioni dei nazionalisti birmani a espellere questa minoranza di fede islamica a cui il governo di Naypyidaw non riconosce la cittadinanza, sia nella pressione internazionale sulle autorità birmane. Ancora sabato, cittadini del maggior Paese musulmano al mondo, l’Indonesia, hanno protestato all’esterno dell’ambasciata del Myanmar a Giacarta e chiesto al Comitato per il Nobel di togliere ad Aung San Suu Kyi il prestigioso riconoscimento. Già lo scorso anno un gruppo di Nobel aveva chiesto chiesto ad Aung San Suu Kyi coerenza con il suo ruolo e altri si erano rivolti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite accusando il Myanmar di «pulizia etnica e crimini contro l’umanità», e sollecitato una risoluzione specifica sulla persecuzione dei Rohingya. Intanto, prosegue l’offensiva dell’esercito, incentivata da azioni di militanti armati di etnia Rohingya, per la prima volta attivi con questa intensità. Almeno 400 i morti segnalati dalle autorità, in maggioranza ribelli, dall’inizio della nuova crisi iniziata il 25 agosto. Ma le testimonianze e le immagini dalle aree coinvolte nelle violenze ricordano le stragi e gli stupri dello scorso autunno, ampiamente documentati.

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