venerdì 4 gennaio 2019
Inizio d’anno in salita per il leader sempre in picchiata nei sondaggi. E torna a crescere il Front national. Il direttore della comunicazione del capo dello Stato, abbandonerà a fine mese lo staff
Il presidente Emmanuel Macron all'Eliseo durante il discorso di fine anno (Ansa)

Il presidente Emmanuel Macron all'Eliseo durante il discorso di fine anno (Ansa)

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Giovane, europeista, confortato da una maggioranza parlamentare schiacciante, fermamente deciso a traghettare la Francia nel “nuovo mondo” delle sfide globali. In quest’inizio di 2019, quanto sembra lontano il maggio 2017, quando l’arrivo folgorante al potere di Emmanuel Macron aveva impressionato l’Europa e il mondo, in un tripudio d’inni e plausi. Dopo le dimissioni, rese note ieri, di un altro pilastro fra gli stretti collaboratori – il consigliere Sylvain Fort – il presidente appare ancora più solo, oltre che contestato. Per Macron l’anno s’annuncia già in salita, in vista delle elezioni europee di fine maggio che potrebbero tradursi oltralpe in un successo dell’ultradestra del Fronte nazionale, dato in testa nelle ultime proiezioni. Se il 2018 si era chiuso con una popolarità in picchiata per tutto l’esecutivo, le prime giornate del 2019 hanno evidenziano il perpetuarsi dei nodi che avevano già ingarbugliato i mesi scorsi: partenze di nomi in vista dalle stanze del potere, riforme impopolari, “ca- so Alexandre Benalla”, bufera contestataria dei “gilet gialli”.

L’ultimo consigliere di Macron a gettare la spugna, Sylvain Fort (46 anni) scriveva i discorsi presidenziali ed era divenuto a settembre capo della comunicazione, dopo i fiaschi del suo predecessore, Bruno Roger-Petit. Ufficialmente, Fort lascerà a fine gennaio per «ragioni familiari», ma le nuove dimissioni giungono in una fase in cui la cerchia dei fedelissimi continua a sfaldarsi inesorabilmente. Altri due consiglieri meno noti, Barbara Frugier (comunicazione estera) e Ahlem Gharbi (per le questioni africane), stanno svuotando i propri uffici all’Eliseo. Mentre Alexandre Benalla, l’ex consigliere presidenziale alla sicurezza, licenziato dopo un’impressionante sequenza di violazioni dei più elementari doveri etici legati alla sua funzione, si conferma una pericolosa “mina vagante”, come ha appena mostrato il giallo dei passaporti diplomatici non restituiti all’Eliseo dall’ex collaboratore, fra nuovi sospetti, misteriosi viaggi in Africa, scambi via sms intrattenuti con Macron pure dopo il licenziamento.

Anche nella squadra di governo, i problemi di “casting” avevano già condizionato il 2018, segnato in particolare dalle fragorose dimissioni, annunciate a fine agosto alla radio ancor prima di essere comunicate a Macron, del superministro Nicolas Hulot: il titolare della Transizione ecologica e solidale, di gran lunga il volto più popolare dell’esecutivo. Sul fronte delle riforme, invece, viene contestata in particolare la politica economica di Macron, che non riesce a scrollarsi di dosso l’immagine di «presidente dei ricchi». Dopo la “flat tax” sui proventi finanziari che favorisce i più facoltosi investitori, ci sono state le limature dei sussidi ai ceti disagiati, il recente giro di vite per i disoccupati iscritti al collocamento, il rendimento ormai striminzito e “congelato” del più popolare libretto di risparmio fra i francesi di condizione modesta, il 'livret A', che è valso ieri a Macron pure le aspre critiche di Clcv, influente sigla dei consumatori. La crisi dei “gilet gialli”, intanto, mostra segni contrastanti. La dirompente burrasca sociale di fine novembre e inizio dicembre si è progressivamente sgonfiata, fra manifestanti in forte calo, apparente dialogo fra esecutivo e contestatori, scuse e promesse presidenziali di correttivi, biasimo generale per gli incidenti mortali provocati indirettamente dai blocchi stradali inscenati, così come per l’insidiosa presenza costante d’estremisti e teppisti nei cortei.

Ma sul campo, gli irriducibili chiedono di scendere nuovamente in piazza domani, dopo aver bloccato nelle ultime ore, ancora una volta, due terminal petroliferi nei pressi di Rouen e Bordeaux. Inoltre, la crisi tende a tracimare a livello politico, anche per via delle ambizioni di alcune frange del movimento in vista delle elezioni europee. Ieri, i partiti d’ultradestra e d’ultrasinistra vicini ai contestatori hanno gridato allo scandalo per le ore passate in custodia da Eric Drouet, uno dei più controversi leader dei “gilet gialli”, rilasciato ieri pomeriggio dopo essere stato fermato mercoledì a Parigi con l’accusa di aver organizzato una manifestazione pubblica senza l’autorizzazione del prefetto.

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